Il confine etico di una nazione
Nel messaggio per la festa dei lavoratori i Vescovi italiani hanno posto l’accento sul dramma delle morti sul lavoro e sulla cultura della cura. Se guardiamo solo alla nostra provincia, nel 2020 e nel 2021 sono morte, ogni anno, 40 persone, mentre nel 2019 erano 30. Le morti bianche non diminuiscono. Alla base c’è una scarsa attenzione al tema della sicurezza che in molte parti è visto ancora come l’ennesimo balzello da pagare e non come un salvavita da attivare.
Proviamo ad allargare lo sguardo oltre i nostri confini. In una società sempre più globalizzata e interconnessa non possiamo chiudere gli occhi davanti all’annullamento dei diritti dei lavoratori. Il Papa nel messaggio per la pace ha ricordato che, quando ci sono le condizioni di un lavoro sicuro e dignitoso, si pongono anche le basi per evitare ogni forma di conflittualità sociale.
La guerra in Ucraina sta dimostrando la dipendenza dell’Italia e, soprattutto, la scarsa lungimiranza delle ultime legislature. Non si vedono grandi spiragli. Il Governo sta semplicemente cercando di tamponare la falla della nave con mezzi di fortuna. Ma qual è il confine etico entro il quale uno Stato può muoversi per garantire l’approvvigionamento energetico ai suoi cittadini?
L’Italia, ad esempio, per smarcarsi dalla fornitura di gas russo, sta cercando e trovando nuovi partner che non rappresentano certo l’identikit del buon governo. Spesso sono autoritari e non democratici. Si pensi all’Egitto, alla Repubblica Democratica del Congo o all’Angola. Ad eccezione della terra dei faraoni, per la quale qualche timido mal di pancia è stato sollevato come diretta conseguenza della vicenda legata a Giulio Regeni, per il resto tutto rientra nella normalità. Poco importa ai più e soprattutto alla nostra classe dirigente se nella Repubblica Democratica del Congo ogni giorno si estrae il cobalto, un minerale di poco valore per la popolazione locale, ma che è diventato molto prezioso perché viene utilizzato come componente chiave delle batterie elettriche. La nostra rivoluzione verde si alimenta dello sfruttamento di uomini, donne e bambini impiegati 12 ore al giorno e sette giorni su sette. Il cobalto (il 60% della produzione mondiale arriva proprio da lì) viene poi ripulito in Cina, un altro Stato che si distingue in negativo per il rispetto dei diritti umani, e poi spedito nel resto del mondo.
Perché l’Italia non può richiedere, in cambio di un accordo economico, il rispetto dei diritti umani? Perché non può e non vuole porsi il problema? La storia purtroppo si ripete. Era già successo, infatti, con Putin.