Il codice della strada che fa discutere
Le modifiche al codice della strada fanno discutere. È dunque essenziale analizzare gli aspetti positivi (che ci sono) e quegli elementi, che diremmo “di retroguardia”. La guida in stato di ebbrezza determina un elevatissimo numero di incidenti stradali in Italia come nel resto d’Europa. I programmi finora realizzati, la cui strategia era finalizzata a “dissuadere”, soprattutto i giovani, dall’assunzione di alcol e/o stupefacenti, hanno sortito solo parziali risultati che necessitano di essere consolidati da un approccio più rigoroso e comprensivo di aspetti innovativi derivanti dall’uso di moderne tecnologie.
L’alcol lock è una di queste: non consente l’avvio del veicolo se il conducente (obbligato a soffiare in un sistema elettronico), supera il tasso alcolemico. Sperimentato da anni in alcuni paesi europei, come la Francia, la Svezia, la Finlandia e il Belgio, è obbligatorio sia per i conducenti recidivi alla guida in stato di ebbrezza, che per alcune categorie di guidatori, come quelli che guidano veicoli commerciali, scuolabus o mezzi pesanti. Ciò stimola ovviamente anche la produzione e induce una riduzione dei costi. I risultati sono positivi: secondo uno studio dell’European Transport Safety Council, l’alcol lock riduce del 75% il rischio di recidiva dei guidatori alcolizzati.
Se l’approccio repressivo è necessario, lascia perplessi invece l’invocare il “buon senso” (questo il termine utilizzato dalla brochure del MIT) per la definizione e gestione delle zone a traffico limitato. Questa misura positiva e tipicamente italiana (introdotta decenni fa) e poco diffusa all’estero, funziona, ma afferma un principio che andrebbe superato. I centri urbani dove queste zone sono applicate sono in Europa per lo più sorti prima dell’avvento dell’automobile. Il 30% degli insediamenti europei è di origine romana, percentuale che sale al 34% per l’Italia. 4.164 Comuni italiani (53%) hanno un centro fondato tra VIII e XIV secolo, mentre solo 1.215 Comuni italiani hanno un centro successivo al XV secolo. Si pensi che, nel 1893, il Questore di Parigi emise un’ordinanza che introdusse il limite di velocità di 12 km/h nei centri abitati e di 20 nel territorio extraurbano per i nuovi “intrusi” negli ambiti urbani. Dunque, bisognerebbe capovolgere il concetto: nelle aree urbane centrali storiche le auto private sono delle “intruse” (si fanno ovviamente salvi i casi di delivery e servizio alle disabilità) e si dovrebbero introdurre le “zone a traffico veicolare consentito”. Ribaltiamo, dunque, la priorità: prima pedoni e altri mezzi attivi di spostamento e, a seguire, solo ove consentito e con limiti di velocità molto ridotti, i veicoli motorizzati privati.