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Brescia
di CLAUDIO CAMBEDDA 04 lug 2024 08:30

Il caso Ungheria

La politica comune dell’Unione Europea prevede organismi e regole a tutela dei consociati, cioè i Paesi che ne fanno parte. Ogni Stato membro (ed anche la Commissione europea, altro organismo rilevante della Comunità) può denunciare alla Corte di giustizia Europea l’inadempimento di queste norme da parte di altri Stati. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza. La Commissione europea presentò un ricorso contro l’Ungheria, ottenendone la condanna in data 17.12.2020 per violazione di norme dell’Unione in materia di immigrazione, nello specifico riguardanti la protezione internazionale ed il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi (cioè esterni all’Unione Europea) il cui soggiorno è irregolare. L’inadempimento ungherese riguardava la scarsa applicazione delle regole di protezione internazionale (a tutela degli immigrati più sfortunati), il trattenimento irregolare dei richiedenti protezione in zone di transito, la violazione del loro diritto di rimanere nel territorio ungherese in attesa di una decisione definitiva durante i processi di espulsione, l’allontanamento degli stranieri di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

A quanto pare l’Ungheria, oltre a violare le norme, mai si adeguò a quella sentenza, che forniva indicazioni per rimediare. Sicché la Commissione Europea presentò nuovo ricorso, questa volta al fine di ottenerne la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria. La nuova sentenza conferma che l’Ungheria non ha adottato le misure necessarie indicatele 4 anni fa, violando il principio di leale cooperazione, ha volontariamente disapplicato la politica comune dell’Unione in materia di immigrazione. Tale comportamento è stato ritenuto una minaccia importante per l’unità del diritto dell’Unione, pregiudicante in modo straordinariamente grave tanto gli interessi privati, cioè quelli dei richiedenti asilo, quanto l’interesse pubblico. Effetto deleterio è poi quello di avere gravato gli altri Stati membri - come l’Italia - del peso anche finanziario al fine di garantire sostegno nei casi sopra indicati (accoglienza, trattamento delle domande, rimpatrio). Vi è danno al principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri. L’Ungheria è stata così condannata a versare la somma di 200 milioni di euro ed una penalità di 1 milione di euro per ogni giorno di ritardo per non aver dato esecuzione a una sentenza della Corte di giustizia (Sentenza della Corte nella causa C-123/22 - Commissione / Ungheria). La Comunità europea in questo caso ha fornito concreto segnale della propria esistenza.

CLAUDIO CAMBEDDA 04 lug 2024 08:30