Il bello del vivere
Nella sua prima Lettera pastorale alla diocesi di Brescia, il Vescovo sottolinea i tanti volti della santità. In questo anno, esorta le comunità parrocchiali a mettere al centro la preghiera
In ogni epoca l’uomo va alla ricerca della felicità. Spesso, però, si ritrova a inseguire qualcosa di effimero e, alla fine, rimane anche deluso. Il cristiano, invece, dovrebbe sapere che c’è qualcuno (Cristo) capace di offrire una vita piena di significato per sé e per gli altri. E, come ripete spesso il Papa, Gesù non lascia mai soli i suoi compagni di strada. “Il bello del vivere. La santità dei volti e i volti della santità”, la prima lettera pastorale del vescovo Tremolada, è una straordinaria occasione per riflettere sulla quotidianità. Il santo è colui che nell’ordinarietà vive, testimonia e trasmette la presenza di Gesù. Tutti sono chiamati alla santità. “Quel che rimane impresso dei santi è il loro modo di vivere. Chi li incontra, non potrà più dimenticare le loro parole, i loro gesti, il loro atteggiamento, il tratto, lo stile, in una parola la loro testimonianza”. Quando pensiamo alla santità, siamo soliti pensare a qualcosa di impossibile. “Santità – scrive il Vescovo – è una parola che suona lontana. O, forse meglio, una parola che crea distanza. Non che non piaccia. In molti suscita stima e rispetto. In qualcuno però anche un senso di disagio. Fa pensare ad una perfezione inarrivabile che finisce per giudicarti. Ti porta a dire: ‘Io non sarò mai così!’. Questo soprattutto per le nuove generazioni. Per chi ha una certa età, invece, la parola “santità” richiama le statue dei patroni o di altri santi a cui si è affezionati e ai quali ci si affida volentieri. Tutto molto bello e anche molto prezioso per la nostra vita. In ogni caso, non direttamente legato a noi, alla nostra persona, al nostro cammino quotidiano”. Ma non è così: “La santità ci riguarda”.
La santità è l’altro nome della vita quando la si guarda con gli occhi di Dio. “La santità è il volto buono dell’umanità, il suo lato più bello e più vero. È l’umanità così come Dio l’ha desiderata da sempre. È l’umanità redenta in Cristo, liberata da ciò che la offende, la intristisce, la ferisce, la mortifica, la disonora; da ciò che la rende crudele, volgare, violenta. È l’umanità che vorremmo sempre incontrare, che non ci fa paura, che, al contrario, ci rallegra, ci stupisce, ci commuove, ci attrae, ci conquista. È l’umanità luminosa, avvolta nella luce del bene”. La santità si incontra. “La si legge nei volti e ha volti differenti. La si può certo anche raccontare e anzi si ha piacere di farlo quando la si scopre. La santità, infatti, non lascia mai indifferenti. Ha una propria irresistibile forza di attrazione, un suo fascino. Nessuno di noi sa bene cosa intende quando dice di qualcuno: ‘È un sant’uomo!’, o ‘È una santa donna!’, ma è certo che è stato profondamente toccato da quello che ha visto”. L’invito a vivere da protagonisti. “La santità è il contrario di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente, opaca e ultimamente triste. È invece un’esistenza genuina, intensa, splendente e ultimamente felice. A questo siamo da sempre destinati. Ognuno di noi nasce dentro una benedizione, cioè una promessa di vita piena”.
Nella Lettera non ci sono volutamente delle ricette precostituite, ma c’è semplicemente un tentativo di avvicinare i santi all’uomo contemporaneo. Nel testo sono stati individuati anche alcuni testimoni (un volontario, due genitori, una madre medico, un curato e una Suora Operaia) che hanno raccontato in un’intervista video la loro esperienza: chi nel campo della politica e dell’attenzione agli altri, chi nella cura, chi nel lavoro… In questo primo anno pastorale, il Vescovo esorta, quindi, le comunità a mettere al centro la preghiera come afferma il Papa nella Gaudete et exsultate: “Non esiste santità senza preghiera. La lettura della biografia dei santi ci consegna come costante un’esperienza intensa e profonda di orazione”.