I preti che il Signore ci dona
Grazie a Dio! Quattro nuovi preti. “Non ci speravo” lascia trasparire il volto di un giovane papà, desideroso di poter vivere nella Chiesa, nella comunità dei credenti. “Come possiamo celebrare l’Eucaristia se un prete non si fa strumento di mediazione tra noi e Dio?”, mi ha detto sottovoce, per non disturbare il mondo distratto da altro e concentrato altrove. Ho letto molta gratitudine negli occhi della gente per questi quattro giovani. Hanno un nome e una storia, hanno delle passioni e tanto entusiasmo. Si chiamano don Simone, don Attilio, don Michele e don Filippo.
Amano la musica e il canto, le lingue degli uomini e il lavoro serio. Non sono alieni, né martiri o eroi; semplicemente dei credenti che hanno scoperto d’essere stati chiamati dal Signore a vivere una missione, la Sua, l’unica missione della Chiesa, quella di portare a tutti gli uomini il lieto annuncio. Hanno creduto e per questo ora chiedono alla Chiesa di accoglierli nel presbiterio; come pastori dei piccoli, per il momento, ma in vista di una maturità ricca e feconda. Ancora quattro preti. Incredibile! Quando leggo lo sconforto di chi fa confronti con un passato più o meno recente mi assale un po’ di delusione, soprattutto se il confronto avviene all’interno della Chiesa. Mi verrebbe da dire, tra l’altro, che il problema di domani non sarà il calo dei preti ma dei fedeli. Poi ripenso a quanto sia importante rimanere liberi dalla tirannia dei numeri e a come tutto sia cominciato con una manciata di folli in Cristo. Lo sguardo sulla parte mancante non è generativo. Non è giusto che i nostri quattro amici inizino con il peso della delusione numerica. I preti che il Signore ci dona, pochi o tanti, sono una benedizione. Lo saranno però solo nella misura in cui vivranno in pienezza il loro ministero, se non giocheranno anche loro al pallottoliere delle presenze, alla conta dei partecipanti o alle statistiche degli uomini. La Chiesa ha una doppia natura, umana e divina: quando diventa troppo umana si perde, se non ha niente di umano si illude.
Sì! Quattro preti sono un dono. Di cui rendere grazie. Sono un’iniezione di gioia nella nostra Chiesa, che è chiamata a leggere il tempo, nello Spirito. Diventa allora confortante pensare che qualcuno tra noi decida nel Signore di spendere i propri anni e le proprie energie per camminare con i tanti credenti che ancora oggi pregano, celebrano e vivono nella fede. Sono una parte del corpo di Cristo e non dei privilegiati. Se rimarranno bene innestati in questo corpo e non cederanno alla tentazione individualista saranno fonte e colonna per le nostre comunità. Diversamente, come per i fuochi d’artificio, tutto si consumerà presto. Ringrazio il Signore d’aver fatto un tratto di strada con loro e invito ciascuno a conoscerli, così come invito a conoscere anche l’altro pezzo del seminario, quelli che ancora sono in cammino. I volti sono più potenti dei numeri. Penso che siano proprio questi a rincuorare la Chiesa. Mi rivolgo adesso a voi, carissimi amici e preti da poche ore. Abbiate cura di due cose. La prima è la vita spirituale. Portate tutto al Signore. Imparate ad offrire. Abbiamo ripetuto più volte in questi mesi che non esistono giornate belle o brutte, ma giornate offerte o non offerte. Abbiate cura di ciò che nutre. Un proverbio francese dice che l’orologio non si ferma nel momento in cui ci si scorda di caricarlo, ma più tardi, all’improvviso. La seconda cosa di cui aver cura è la comunione. Fate tutto nella comunione. In una lettera ai cristiani di Smirne Ignazio di Antiochia scrive: “Le divisioni fuggitele come principio di tutti i mali. Seguite il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre; (…) quanto ai diaconi, onorateli come comandamento di Dio. Nessuno senza il Vescovo, faccia qualcosa che riguardi la Chiesa”. Non abbiate timore. Buon cammino a voi e alle comunità che vi accoglieranno.