Ho incontrato Etty Hillesum
Ho “incontrato” Etty Hillesum (1914-1943) a vent’anni, quando un’amica mi ha prestato il suo diario, appena pubblicato. Mi sono tuffata in quelle pagine cercando ossigeno per la vita dello spirito, che avvertivo bisognosa di nutrimento. Mi sono subito sentita “a casa” tra quelle parole così profonde e a tratti travagliate e difficili. Forse un po’ troppo complicate per una ventenne piena di domande e con poche risposte, ma, prima o poi, avrei scoperto il tesoro nascosto in quell’affinità spirituale che mi aveva affascinata. E così è stato. E non poteva essere altrimenti, quando ti trovi anche tu a fare i conti con un Dio che pian piano si fa spazio dentro di te, fino a diventare Lui la tua stessa vita. In ginocchio. In ginocchio è il “luogo” perfetto in cui stare quando si assapora la libertà di essere creature.
Scrive Etty: “Ieri sera d’un tratto mi sono dovuta inginocchiare di nuovo, per via di un inatteso impeto”. Lei, “la ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo imparò, sul ruvido tappeto di coccio, in una disordinata camera da bagno”, mentre si trova nel campo di Westerbork annota: “Oggi, mentre passavo per quei corridoi così affollati, ho sentito improvvisamente un gran desiderio d’inginocchiarmi sul pavimento di pietra, in mezzo a tutta quella gente. L’unico atto degno di un uomo rimasto di questi tempi è quello d’inginocchiarci davanti a Dio”. Anche nel dolore. Addirittura nell’assurdità della scelta di servire le sue sorelle e i suoi fratelli in un campo di concentramento. Sempre dalla parte di Dio: “Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano.
Sì, mio Dio, sembra che Tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali. Io non chiamo in causa la Tua responsabilità, più tardi sarai Tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare Te, difendere fino all’ultimo la Tua casa in noi”. “Fino all’ultimo” è la morte che si avvicina e che lei affronta così: “Discorrerò con Te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo Ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per Te e a esserTi fedele”, perché “Non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio; e sia che ora io mi trovi qui, a questa scrivania o in una nuda camera del ghetto o fors’anche in un campo di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia di Dio credo che mi sentirò sempre”.