Gli occhi dello stupore
Quando Giuseppe Tovini nel luglio del 1893 diede vita al nostro settimanale, forse non immaginava che la sua intuizione avrebbe avuto una siffatta longevità. E spesso nelle pieghe della storia rintracciamo insegnamenti ancora attuali. La sfida di allora di costruire un contenitore in grado di informare e formare è la stessa di oggi. Ho accettato volentieri e con entusiasmo di continuare a scrivere le pagine del libro di Voce, un giornale popolare attento ai segni dei tempi e alle trasformazioni in atto nella società perché come scrive Francesco in Evangelii gaudium viviamo un cambiamento d’epoca. Vogliamo accompagnare il tempo della ricostruzione, stimolando e favorendo occasioni di confronto. Desideriamo continuare a raccontare il vissuto delle nostre comunità con tutte le evidenti difficoltà o stanchezze pastorali. Laddove necessario proveremo anche a essere un pungolo perché i tarli del “si è sempre fatto così” non rischino di far ammalorare quel legno buono di cui siamo stati testimoni. Desideriamo dare voce a quanto c’è di buono e di bello in un territorio da sempre dedito al volontariato e alla solidarietà, un territorio che sa sporcarsi le mani per alleviare le sofferenze del prossimo. Desideriamo raccontare, indossando gli occhiali dello stupore, le storie ordinarie che con la loro semplicità rendono straordinaria la vita di ogni giorno.
Parafrasando Etty Hillesum, questo è davvero il tempo per guardare i gigli del campo. Sullo sfondo c’è la Parola senza tempo e senza età alla quale attingeremo. Desideriamo ulteriormente allargare il nostro orizzonte per leggere e comprendere senza cadere in stereotipi e pregiudizi quello che succede lontano. Intendiamo tendere l’orecchio a chi non ha sufficienti mezzi per farsi sentire. Certo non possiamo non vedere quanto accade attorno a noi: dalla violenza fisica fuori e dentro le mura domestiche alla violenza verbale con le liti sui social o per futili questioni. Certo non possiamo non vedere i nuovi poveri o le famiglie che bussano alle porte della Caritas. Certo non possiamo non vedere gli immigrati lasciati spesso ai margini della società e spesso anche della vita delle nostre comunità cristiane. Certo non possiamo non vedere la diffusione della droga e dell’alcol (con una crescita esponenziale durante la pandemia) tra i giovani e i meno giovani. Certo non possiamo non vedere la solitudine e la depressione di molti. Certo non possiamo non vedere le contraddizioni di una società individualista che non si sorprende più delle ingiustizie, perché come annota Luigi Garlando, in “Per questo mi chiamo Giovanni”, “a forza di accettare l’ingiustizia, non vedrai più l’ingiustizia”.
Nel 2023, anno in cui Brescia festeggia, insieme a Bergamo, il titolo di capitale della cultura, Voce festeggia 130 anni. È un traguardo importante ma non vuole essere un punto di arrivo perché abbiamo ancora molto da dire. Quando sfogliate il giornale, ricordatevi che dietro ogni riga si intravede il volto di una persona: dal redattore al collaboratore, dal grafico a tutto il personale amministrativo, da chi raccoglie la pubblicità a chi elabora i video. Non posso non ringraziare le persone che hanno permesso a Voce di essere una presenza significativa, tra questi i tre direttori che mi hanno preceduto e che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere: don Gabriele Filippini mi ha dato l’opportunità di affacciarmi al mondo del giornalismo, Valeria Boldini ha scommesso su di me e don Adriano Bianchi mi ha accompagnato nella mia crescita professionale.
Nelle prossime settimane avrete modo di osservare dei piccoli correttivi, in particolare cercheremo di offrire sempre di più spazi di riflessione. Anche per questo motivo avremo il compito di metterci in ascolto. Non sarà facile. In una società sempre più urlante e incapace di ascoltare, la comunicazione recita un ruolo ancora più importante. Noi ci siamo, adesso tocca a te, caro lettore e caro abbonato. Aspettiamo i tuoi consigli, le tue osservazioni e, perché no, anche il tuo incoraggiamento.