Giovani: ecco i neet
Non studiano, non lavorano, non sono inseriti in un percorso formativo, hanno tra i 15 e i 29 anni e sono più di un quarto dei giovani italiani
Non studiano, non lavorano, non sono inseriti in un percorso formativo, hanno tra i 15 e i 29 anni e sono più di un quarto dei giovani italiani. Nonostante le politiche macro-economiche abbiano messo a fuoco il problema abbozzando soluzioni, in 6 anni sono aumentati dell’8%: sono i Neet e sono un problema enorme. Nel leggere questi dati mi sembra che non si possano tacere tre questioni, non immediate ma condizionanti, che impediscono di affrontare il problema in termini adeguati. La prima riguarda la retribuzione e la considerazione sociale dei lavori di fascia bassa è assolutamente inadeguata. Un esempio tra i tanti: un assistente ad personam che sostiene un bambino disabile a scuola percepisce circa 600 euro per 28 ore settimanali lavorate. Come è possibile che un lavoro vero sia retribuito tanto quanto una forma di sostegno o di assistenza al reddito?
E’ normale tutto questo? La seconda: la distanza sempre più grande tra il frutto del proprio lavoro e l’utilità sociale. Molte occupazioni proposte ad un giovane hanno la caratteristica di prevedere prestazioni di cui è impossibile percepire un’utilità. Penso agli operatori di call center, penso ad alcuni ruoli in organizzazioni molto segmentate. Vedere il risultato del proprio lavoro, ben fatto, utile, che rende migliore il mondo che mi circonda (o almeno più comoda, più piacevole, più responsabile la vita di alcuni miei contemporanei) offre a chi lavora una motivazione che si aggiunge e a volte supera la soddisfazione del reddito. Non vederla rende il lavoro meno “etico”. E, infine, diminuita l’etica, il tentativo è quello di sostituirlo con un’epica aziendale. Molte imprese (anche nella nostra solida e concreta provincia) non solo si dicono di sé in termini di grandi conquiste o fantasmagorici vantaggi (pensiamo alle pubblicità dei supermercati), ma – da tempo – hanno iniziato a raccontare, anche al proprio interno, le magnifiche sorti progressive regalate dalla mission aziendale. C’è una vera e propria epica dell’azienda, che vuole convincere il lavoratore (che – nei livelli più bassi – non gode di alcun vantaggio reale se l’impresa va bene) della grande fortuna di far parte della squadra. Da qui nuove forme gerarchiche – studiate per la massima efficienza – che promuovono un alto livello di competizione interna tra colleghi. Ecco perché non faccio troppa fatica a immaginare che il nostro amico neet sia “uscito dal gruppo”.