Gatta, vero cronista
Se ne è andato nell’ultimo venerdì di marzo, il più santo e triste annunciante la già vicina Pasqua di risurrezione, ma avrebbe voluto rimanere almeno un altro giorno, giusto il tempo per “salutare quel bene che bellamente e stupidamente stiamo dimenticando di possedere: la pace”. Invece, acciacchi e anni – gli 84 li avrebbe raggiunti a luglio – hanno preteso udienza strappandolo alla famiglia, agli amici e agli impegni già ipotizzati.
Sul finire di febbraio, gli avevo anche detto: “Dai Costanzo, guarisci in fretta, che avrei un libretto, arricchito con testi in dialetto tutti da aggiustare, da onorare con accenti e apostrofi appropriati, così da renderli commestibili ai dotti e agli ignoranti...”. Lui, Costanzo Gatta - allevato dal papà (giornalista e critico teatrale) a pane, carta, scene e palcoscenici (“se in una recita serviva un ragazzino – raccontava divertito –, la compagnia in trasferta chiedeva lumi al critico e costui aveva sotto mano un figlio adatto alla bisogna…”), Costanzo diventò giornalista con spiccata vocazione da attore, ma poi anche e soprattutto scrittore, storico, teatrante, abile affabulatore, innovativo regista teatrale-televisivo, conversatore mai sazio di dialogo e confronto, cronista vero e perciò senza tempo, capace di raccontare “storie minime” e “storie massime” con la medesima passione, tra i pochi che di fronte a lodi sperticate e ad applausi suggeriti o sollecitati nicchiava e, al tempo stesso, ghignava sapendo che si era rarefatto il parco dei facitori di parole con cui decorare e raccontare città e provincia, capaci di arzigogolare interessando e dar lustro alla commedia della vita.
Costanzo se ne è andato nel Venerdì Santo, chiedendo perdono per il disturbo e azzardando ancora l’ipotesi che buon scrivere, ottimo recitare, orgoglioso affabulare, maestoso dialogare, chiassoso proclamare ed effimero interpretare, di certo non fanno un buon articolo di giornale, nemmeno un libro o un libretto, tanto meno un “saggio masticato e pensato a lungo, perciò reso adatto al riflettere piuttosto che al soppesare”. Di Costanzo, adesso che il sipario è calato e lui di certo si è già accomodato nella “galleria” del teatro allestito in Paradiso per accogliere sognatori e costruttori di pensieri pensati, restano intatte bontà, gentilezza, disponibilità, che insieme agli articoli pubblicati su giornali e riviste (anche su “Voce”), ai libri distribuiti (più di cento), ai sorrisi elargiti e ai silenti abbracci concessi ai tanti che da lui ambivano attenzioni letterarie, compongono la pagina più adatta a far comprendere che “la scena non è mai regalata: va conquistata col lavoro e la passione…”. Addio, Costanzo!