Franciscus: un'esperienza di Grazia
Si spengono le luci del teatro Borsoni che accoglie Simone Cristicchi e il suo "Franciscus", e d'improvviso ti ritrovi nell'Assisi del 1200, affacciata alla finestra a goderti la vita del tuo borgo natio: i giovani benestanti che se la spassano e bevono e mangiano e gozzovigliano, tanto c'è sempre chi paga per loro… Un tale Franciscus - si dice - Che nome! Un omaggio alla madre francese. Come lei, canta le canzonette in lingua provenzale, un animo raffinato il suo. Ma può permetterselo. I soldi non gli mancano di certo! Suo padre, Bernardone, vende stoffe, vere stoffe, non come quelle di Cencio che sta gridando con il suo carretto qui sotto - ma non disturba, lui è di casa - “Tieni, prendi questo straccio, fanne carta, che i libri, dicono che valgono tanto di questi tempi! Ma torna, torna a raccontare che succede qui intorno, che noi si vuole sapere…”.
E così, anche tu dai retta a Cencio, che dal palco, sa come catturare la tua attenzione: canta, balla e racconta. Ti ha persino lanciato uno dei suoi stracci e tu lo tieni in mano per tutta la durata dello spettacolo, agganciato a quella storia, tante volte sentita, ma che non ti sazia mai. Cencio, Simone, Franciscus e tu, a dar vita a quella follia che da tanto senti esplodere dentro di te, ma non puoi, non devi, perché non si fa. E invece stasera si può, ti è concesso di fare esperienza di una Grazia che senti irrangiungibile - lo ami e lo odi un Santo così, ma stasera lo ami e lo ami alla follia - una Grazia che è cura di un mondo malato, donne, uomini, nazioni, animali, piante, terre, mari e fiumi, sorelle e fratelli, che sono tuoi, miei. E chi se ne deve occupare, se non io? Persino Cencio l'ha capito. Lui l'ha visto Franciscus visitato da Sorella Morte, accompagnato, nudo, in corteo dall'intera creazione, già risorto, come Colui che, in vita, aveva abbracciato così forte, da portarne i segni nella carne. Un momento. Ma anch'io sto camminando dietro di lui. Anche Cencio, Simone e, mi pare, anche tu