Fragili sostegni
Sono stati, quelli appena trascorsi, venti giorni di amarezza e di preoccupazione per tante famiglie e tante persone con disabilità. A metà ottobre, infatti, l’Inps – alla luce di due sentenze della Cassazione che hanno dato ragione alla sua avvocatura contro l’appello presentato da cittadini privati del sussidio – ha comunicato la cancellazione dell’assegno di invalidità di 287 euro mensili alle persone con disabilità che sommano all’assegno pubblico un piccolo reddito da lavoro, vale a dire non più di 4.931 euro l’anno, 410 euro al mese. In pratica si sono messe delle persone che vivono una condizione di particolare fragilità di fronte ad una scelta sconcertante: la certezza dell’assegno di invalidità o l’incertezza di un compenso legato a progetti di inserimento lavorativo che oggi ci sono ma domani potrebbero non esserci, portati avanti in maniera meritoria da cooperative sociali che di sicurezze, loro stesse, ne hanno purtroppo ben poche. All’origine del problema c’è una clamorosa retromarcia dell’Inps rispetto a quanto sostenuto fino a ieri dallo stesso Istituto.
È la legge ad affermare che il requisito per ottenere il contributo in discussione è l’inoccupazione, ma proprio l’Inps aveva chiarito subito dopo quella formulazione, che è del 2007 in aggiornamento del dispositivo del 1971, che “l’esiguità del reddito [da considerare] impedisce di ritenere che vi sia attività lavorativa rilevante”, sancendo così la sua cumulabilità con il sussidio. A risolvere la questione sarà il Governo attraverso un emendamento in sede di conversione del Decreto legge fiscale che consentirà di superare l’interpretazione restrittiva della norma. Tirando le somme della vicenda ci si rende conto che, paradossalmente, ha anche qualche merito. Ci costringe ad aprire gli occhi sulla condizione in cui vivono migliaia di persone con disabilità certificata tra il 74 e il 99%, per le quali la sopravvivenza fa conto, nel migliore dei casi, su 697 euro al mese tra sussidio e compenso da lavoro. E poi ci obbliga a riflettere sul valore del lavoro come esperienza di umanizzazione, come possibilità di realizzazione e di inclusione, come generatore di quella solidarietà operativa che trasforma le dinamiche della competizione in dinamiche di cooperazione. Sul primo aspetto c’è una volontà di riforma che il Governo ha messo nero su bianco nel decreto legge sul Pnnr. Il secondo è invece un appello che ci riguarda tutti: un passaggio obbligato per un recupero di senso del ruolo del lavoro nella società di oggi e in quella di domani.