Fine vita: legge inutile e dannosa
Già da anni, senza il consenso del paziente, non si può mettere in atto alcun trattamento terapeutico
Quando si affrontano argomenti che mettono in gioco la vita e la morte, due sono gli strumenti indispensabili: i dati reali e l’onestà intellettuale. La legge sulle cosiddette DAT (Consenso Informato e Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) è proprio il terreno concreto nel quale sperimentare oggettività e onestà. Il testo unificato licenziato dalla Camera è un esempio di legge inutile e dannosa. Inutile, certamente nella sua prima parte ove si pone l’obbligo del consenso informato da parte di ogni paziente al trattamento che gli viene prospettato. Inutile, perché il consenso informato esiste già da anni, perché la sua eventuale mancanza o dimenticanza configura una mancanza sanzionabile in sede penale e civile, perché è nientemeno che la Costituzione a richiederlo. Art. 32: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario”. Già da anni, senza il consenso del paziente, non si può mettere in atto alcun trattamento terapeutico. La volontà attuale ed attualmente espressa del paziente è sovrana. Ergo, l’articolo 1 e 2 della legge va cancellato perché, nella migliore delle ipotesi, è solo fumo negli occhi. Fumo che – pensar male è peccato, ma difficilmente si sbaglia – serve a confondere il “piatto forte” della legge: le DAT. Con queste si prevede che il paziente scriva delle dichiarazioni (che poi nel testo diventano “disposizioni”…e la differenza non è per nulla né solo semantica, né tantomeno casuale!) in cui dichiara a quali trattamenti vuole o non vuole essere sottoposto nel momento in cui non fosse in grado di esprimere il proprio consenso informato, a causa di uno stato patologico che ne compromette la coscienza e la vigilanza.
Una sorta di “ora per allora” o, come anche si dice, una dichiarazione ex ante, prima che questo accada. Proprio qui cominciano i danni e i pericoli. L’inattualità è il pericolo più grande, perché il paziente dichiara ciò che non prova, decide su ciò che non sta vivendo, sceglie immaginando e non vivendo. E tutti sappiamo bene l’abissale differenza che corre fra “essere malato” ed immaginare di esserlo, prevedere una malattia ed avere una malattia, fantasticare circa possibili sintomi e vivere nella carne quei sintomi. Quante volte nella vita abbiamo dichiarato – anche in occasioni più futili – “se mi dovesse capitare questo o quell’altro, farei così e così”. E poi – quando l’evento accade davvero – ci siamo scoperti a fare scelte ben diverse, addirittura opposte. Figurarsi in tema di salute, malattia, cure. Ricordo una gentile paziente cui diagnosticammo una SLA, malattia neurodegenerativa a prognosi infausta, che blocca i muscoli, anche quelli della respirazione. La paziente mi chiese un patto sulla parola d’onore: quando fosse arrivato il momento dell’insufficienza respiratoria, non voleva essere tracheostomizzata. Quel giorno arrivò: leale alla parola data, dissi alla signora che eravamo alla fine. In quel momento – vivendo realmente la condizione di insufficienza respiratoria – cambiò idea e chiese di essere sottoposta al trattamento. Visse per altri sette anni, circondata dall’affetto dei figli. Quella fu la sua vera scelta, ma che cosa sarebbe accaduto se avesse stilato delle DAT e non fosse stata capace, in quel momento, di esprimere la sua reale volontà? Avremmo realizzato quello che aveva immaginato, non quello che stava concretamente desiderando. Dunque, se le DAT esprimono dei “desiderata”, ben vengano, perché significheranno uno strumento in più per la decisione ultima, di cui il medico “deve tener conto”, come dice testualmente l’art. 9 del Trattato Europeo di Oviedo sulla Biomedicina. Tener conto, non vuol dire obbligo di attuazione, vincolo insuperabile come fosse un testamento patrimoniale.
Nella relazione medico-paziente, orientata al bene oggettivo della vita e della salute del malato, si esprimano con lealtà le proprie preferenze, ma si lasci al medico – in scienza e coscienza – l’ultima decisione, senza accanimento e senza eutanasia (entrambe vietate dal Codice Deontologico). Due parole finali, su un altro aspetto delicatissimo. La maggioranza PD/M5S si è opposta all’emendamento che chiedeva l’introduzione dell’obiezione di coscienza da parte del medico. Si è cercato di mitigare questa negazione – di per sé gravissima e che, anche fosse solo questa, mostra la caratura ideologica della legge – con la dispensa dell’obbligatorietà di attuare la DAT da parte del singolo medico. Del singolo medico, ma non della struttura (ospedale, clinica, hospice, RSA, casa di riposo, lungodegenza, ecc..), che ha invece l’obbligo di dare compimento. Pensiamo alle strutture sanitarie di ispirazione cattolica (Gemelli, Casa Sollievo della Sofferenza, Bambin Gesù, Poliambulanza, Fatebenefratelli, ecc..): dovranno accendere convenzioni con “medici tanatologi” esterni, al fine di chiudere la “brutta vicenda”. Ma non è finita qui. Spero di aver spazio per completare l’elenco delle assurdità contenute in questo “inutile e dannoso” DDL, cui credo che tutti dovremmo avere il buon senso di opporci.