Festa dell'Europa?
La “Festa dell’Europa”, che festeggeremo il 9 maggio, quest’anno sarà inevitabilmente caratterizzata da connotati di profonda tristezza e grande preoccupazione. Quello che ci sembrava impossibile, sciaguratamente, si è realizzato: fino a pochi mesi fa, a quasi ottant’anni dalla seconda guerra mondiale e a trenta dalle guerre jugoslave, pensavamo e speravamo che la guerra non fosse più un’opzione praticabile in e per il continente europeo. Purtroppo la realtà – che, come ci indica Papa Francesco, è sempre superiore all’idea - si è presa la briga di smentirci. In Ucraina risuonano le eco sinistre degli armamenti ed è morte, sofferenza, devastazione, ferocia. La logica di Caino appare largamente avere la meglio rispetto ad una vicinanza e, in alcuni territori, convivenza pacifiche. Questa guerra, che si tiene a pochi chilometri dal nostro territorio, ai confini dell’Europa, è certamente una sconfitta dell’idea europea e, nel concreto, delle sue istituzioni. La guerra in corso ha reso meno scontati i valori di Libertà e Democrazia che, invece, hanno un costo, che qualcuno ha pagato per noi nella Resistenza e che oggi abbiamo il dovere di riaffermare pagandone anche noi il prezzo. Il prezzo oltre a quello legato al rincaro dell’energia e delle materie prime - è rappresentato dal sostenere e promuovere l’unico baluardo alla barbarie che, in questi anni, abbiamo pur faticosamente sperimentato: il progetto politico dell’Unione europea. Se dobbiamo spendere risorse ed energie, è nell’Unione che dobbiamo investire. Questa guerra infatti non è solo nei confronti del popolo ucraino, ma dell’intero sistema di valori che fonda la convivenza europea.
Il progetto dell’Unione europea, ancora fragile e incompiuto, se è vero che nasce dall’energia del carbone e dell’acciaio, trova soprattutto linfa dall’energia della pace, che sola garantisce libertà e futuro e che ci ha accompagnato nei decenni successivi. Nei confronti del martoriato popolo ucraino, aggredito dalla Russia, l’Unione europea sta reagendo più o meno compatta, anche se avremmo preferito vedere i leaders europei recarsi a Kiev non alla “spicciolata”, singolarmente ma tutti insieme, compattamente. L’Unione sta esprimendo una solidarietà attiva e pragmatica, ma con un’efficacia politica ancora troppo debole in ordine alla forza della diplomazia. Nel contesto internazionale globale non possiamo più prescindere da un’Unione europea forte e strutturata, finalmente “politica”, che si doti di comuni strumenti di relazioni esterne e di sicurezza. Ormai è chiaro come sia imprescindibile avere una politica estera veramente comune, un sistema di difesa comune, un esercito europeo. Serve completare il progetto degli Stati Uniti d’Europa, così come, più in generale e travalicando il nostro continente, è necessaria una profonda riforma dell’ONU, che sappia garantire un ordine mondiale improntato al rispetto del diritto internazionale, della democrazia e della Pace. La Pace in Europa oggi è più debole e lo sarà ancora di più se rincorriamo solo un istintivo riarmo senza un progetto politico di pace a lungo termine. I Paesi europei spendono centinaia di miliardi per il riarmo, per dotarsi di armamenti sempre più sofisticati, per accrescere il mercato e il traffico delle armi che finiscono per uccidere bambini, donne, anziani: lo scorso anno nel mondo si sono spesi quasi 2.000 miliardi di dollari, segnando un drammatico aumento del 2,6%, per di più proprio nel secondo anno di pandemia, quando tutti gli sforzi si sarebbero dovuti concentrare sulla salute globale e nel salvare vite umane dal virus. E, sulla scorta di quanto ci dice Papa Francesco – che indica il lavoro tra le vie per la costruzione di una pace duratura – sottolineiamo l’importanza che, anche sul fronte del lavoro, sarebbe importante avere politiche comunitarie, sia sul fronte delle politiche attive che di quelle passive del lavoro, per non creare squilibri e differenze ed avere la possibilità di offrire, a livello continentale, opportunità di lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale.