Fermi e muti

Parlando agli studenti, il Presidente della Repubblica ha condiviso due ragionamenti. Il primo riguarda la necessità di usare parole precise e complete: “Siamo sommersi dagli acronimi. (…) Si contrae il modo di esprimersi, per brevità, per guadagnare tempo. Ma quello che vorrei dire è che il pensiero si esprime con la parola. E se le parole si contraggono e perdono compiutezza espressiva, il pensiero non riesce più a esprimersi adeguatamente”. Il secondo riguarda la capacità di fare le cose in maniera veloce, soprattutto quando si tratta di istituzioni di governo: “I problemi di oggi sono prevalentemente globali (…). Tutto questo richiede risposte veloci, tempestive, perché i fenomeni sono veloci”. Le parole corrette sono espressione di una capacità di interpretazione della vita. I fatti conseguenti non lasciano le parole incompiute. Parole e fatti vanno messi insieme: rischiamo di non avere né parole complete, né fatti realizzati. Nonostante la mobilità contemporanea, ci piace stare immobili, quieti, tranquilli, a vedere quel che succede, mentre altri decidono per noi. Gestis verbisque: così il Vaticano II definì il modo con cui Gesù parla del Padre: con le parole e con le opere, insieme e inscindibilmente. Stare fermi e muti non è né del cristiano né del cittadino.
