Fare, fare, fare!
Damiano lavora molte ore al giorno. Arriva a casa che è già l’ora di cena e poi, in un batter d’occhio, è già ora di andare a dormire, anche perché è molto stanco ed il giorno dopo è altrettanto impegnativo. Dal lunedì al venerdì il tempo gli passa molto velocemente; il fine settimana lo concepisce invece come un tempo vuoto da riempire con un fare, un continuo fare impegnativo. Ed allora programma una lunga biciclettata il sabato mattina. Ritorna per il pranzo. La pennichella non se la concede perché gli sembra di perdere tempo. Va a tagliare l’erba in giardino o si trova sempre, comunque, qualcosa da fare. La sera esce perché “bisogna godersi le sere d’estate”. Domenica, grande camminata in montagna. E via di seguito. Anche solo sedersi a leggere un libro lo considera perdita di tempo, perché non è un “fare”, secondo lui: “fare” comporta un movimento, fatica fisica, secondo la sua concezione.
Sembra che solo il fare legittimi l’esistenza: Damiano ha cioè la percezione che se non facesse qualcosa è come se non vivesse. Ed il fare, naturalmente, deve essere spesso fuori dall’ordinario, avere un carattere speciale. Quanti selfie in proposito, da parte di tutti, foto e video, che testimoniano un fare qualcosa, percepito dal soggetto come straordinario, cioè fuori dall’ordinario. Viene in questo modo svalutato l’ordinario. L’ordinario è il tempo della ripetizione, tempo quindi quotidiano, umile. La ripetizione è vissuta come negativa, qualcosa da evitare il più possibile. Questo tempo, dal lunedì al venerdì, viene spesso vissuto come un girare in tondo, qualcosa quindi di non significativo. In questo tempo c’è invece il seme della pienezza. È solo il seme, perché questo seme bisogna coltivarlo affinchè si riesca a vederne la pienezza.
La pienezza è vivere l’ordinario con la consapevolezza che qui posso contattare un mondo interno ed esterno profondo, autentico. La mia vita è vissuta più nell’ordinarietà che nella straordinarietà. Ed è proprio l’ordinarietà che devo coltivare e dare ad essa un senso. Bisognerebbe riuscire, quanto meno puntare, a non separare più tempo ordinario \ tempo straordinario, tempo libero \ tempo lavorativo, tempo per me \ tempo per gli altri: quando non separassi, tutto il tempo sarebbe per me. E non ci sarebbe da fare chissà cosa o andare chissà dove. L’importante è riuscire ad ascoltare quello che sono, in modo accogliente, non giudicante, anche se sono ordinario e forse proprio in questo riesco a cogliere la mia vera essenza, la parte più profonda ed autentica di me. Ascoltarmi in modo ospitale, non selettivo: questo mi aiuta a fare alleanza con la vita, cioè con ciò che ho dentro. E con quello che ho fuori.