Family Business: Conte torna a Brescia
L'incontro tra gli industriali bresciani e il premier Conte in occasione del "Family Business Festival". ll presidente Giuseppe Pasini ha invitato il Premier a parlare di "cose reali" e di problemi da risolvere.
Non l’avevano avvisato che Brescia era una città fatta di tanti fatti e di poche parole. Così il premier Giuseppe Conte ha dovuto prendere atto che la platea degli industriali bresciani riunita per salutare e festeggiare i protagonisti del “Family Business Festival” non era disposta ad accettare slogan, messaggi criptati, cifre bislacche e arricchite soltanto di zero virgola qualcosa, allegre previsioni e poco realistici scenari. Quella platea voleva fatti e non parole. Invece il premier, che pure aveva la possibilità di spiegare i suoi passi e quelli di un Governo che si regge su due stampelle, ha riempito l’aria con un risaputo “non sono contro le imprese” seguito da una traballante rassicurazione sugli investimenti e dall’affermazione, filosofica ma anche improvvida, secondo la quale la ricchezza delle imprese difficilmente diventa ricchezza per l’intera società. Fu allora che il sempre “nuovo” filosofo Emanuele Severino, a cui il premier aveva chiesto udienza, decise di spiegargli il significato di tre parole fondamentali: essere, tecnica, eternità… Con quali risultati non si sa. Filosofi e filosofeggianti a parte, resta il vuoto, questo sì ben evidente, misurato tra gli industriali bresciani rappresentati dal presidente Giuseppe Pasini, ma anche di quelli lombardi guidati dal bresciano Marco Bonometti, e un Governo che “dice senza fare” e che se fa qualcosa, innanzitutto deve mettere d’accordo “il prima con il dopo”, vale a dire le due anime che lo sorreggono. Giuseppe Pasini, cresciuto a pane e fabbrica, è uno che ogni mattina, ancor prima di aprire la porta dell’ufficio fa il giro dell’acciaieria scambiando saluti e buongiorno con la sua forza lavoro. Con questa mentalità, avrebbe gradito sentire il premier Conte parlare di “cose reali”, di problemi da risolvere, di progetti attorno ai quali riunire gli industriali piuttosto che lasciarli andare “liberi, sparpagliati e scontenti”. Allo stesso modo Marco Bonometti, anche lui figlio della fabbrica, dal premier avrebbe preferito sentirsi dire “peste e corna” e non la “vecchia lezione” sull’essere di chi produce ricchezze per sé e non per gli altri, essendo risaputo, almeno dalle nostre parti, che “le fortune delle famiglie industriali reggevano solo se ancorate al duro lavoro e se supportate dalla ferrea volontà delle rispettive maestranze”. Dunque, Brescia delusa dal Presidente del Consiglio? Di certo non affascinata. E i pochi applausi seguiti alle parole pronunciate son lì a dimostrarlo.