Famiglie: che sguardo?
Nell’incontrare le famiglie di oggi emerge da subito un dato di realtà: ci troviamo di fronte ad un “arcipelago” di famiglie, ad una “costellazione”, che non ci permette di parlare di famiglia al singolare, abbiamo bisogno di parlare di famiglie.
Hanno cambiato forma rispetto al passato: diverse, infatti, sono le modalità di convivenza tra i sessi e tra le generazioni. A volte tali modalità relazionali assumono una fisionomia che non corrisponde alla nostra idea di famiglia. Quando ci accostiamo alle famiglie, dunque, è fondamentale assumere consapevolezza di questa nostra rappresentazione e metterla da parte per riconoscere la realtà che l’altro ci porta. Ma quale sguardo assumere sulle famiglie, per incontrarle ed accoglierle? Una prima indicazione mi sembra possa essere quella di non giudicare, di non esprimere una valutazione, di non attaccare etichette. Troppo spesso, infatti, si descrivono le famiglie come spezzate, assenti, deleganti. Questo sguardo giudicante incasella l’altro dandogli una connotazione negativa. Tale modalità relazionale fa sentire l’altro inadeguato, incapace e bisognoso di aiuto. La seconda indicazione è di “vedere ciò che c’è e non solo ciò che manca”. Spesso il nostro sguardo evidenzia le difficoltà, i problemi delle famiglie, ciò che manca appunto. Alleniamoci, invece, a mettere in luce e a valorizzare ciò che c’è, le risorse, le potenzialità, i punti di forza delle famiglie. L’altro, quando si sente guardato in questo modo, riesce a mobilitare le sue risorse, le sue energie e riesce a percepirsi come in grado di, capace di. La terza indicazione è di assumere una comprensione empatica, che implica la capacità di vedere gli occhi con il mondo dell’altro, provare a calarci nella realtà dell’altro; in questo modo si percepiranno in modo più nitido le sue fatiche, i suoi sforzi. La quarta indicazione è di non dare ricette, non dare soluzioni, riconoscendo che non esiste una bacchetta magica in grado di fornire la risposta a un problema. Aiutiamo, invece, le famiglie a riconoscere che hanno in sé le capacità per rispondere al problema che portano, esse, infatti, sono le maggiori esperte della loro situazione e possono trovare la modalità migliore di gestione. Uno sguardo, dunque, non giudicante, empowering, empatico, abilitante metterà le famiglie nella condizione di sentirsi accolte e riconosciute. Oltre a ciò, esse saranno in grado di essere maggiormente consapevoli di sé, dei propri problemi ma anche dei punti di forza, delle fatiche ed anche delle risorse.
Questo è il primo passo affinché la famiglia possa percepirsi come competente e, dunque, in grado di compiere scelte ed assumersi responsabilità.