Evasione fiscale? Peccato inconfessabile
Ci sono peccati di prima, di seconda e di terza classe. Non davanti a Dio che giudica in ogni caso con misericordia un cuore pentito, ma nell’immaginario collettivo e in ciò che di fatto si accusa quando ci si accosta al sacramento della riconciliazione
Ci sono peccati di prima, di seconda e di terza classe. Non davanti a Dio che giudica in ogni caso con misericordia un cuore pentito, ma nell’immaginario collettivo e in ciò che di fatto si accusa quando ci si accosta al sacramento della riconciliazione. In prima classe, perché percepiti tra i più gravi anche se non lo sono, restano i peccati della sfera sessuale. Non li confessa quasi più nessuno, ma, non come gli altri peccati, incidono sul senso di colpa delle persone. Resistono poi “in pole position” quelli contro Dio e la fede: il non pregare, il perdere la Messa o il non essere praticanti in genere. Invece i peccati che segnano le relazioni umane trovano una certa considerazione: la maldicenza, il pettegolezzo, la calunnia vengono confessati. Si pensa siano in genere poca cosa, spesso il Papa ci ha ricordato che sono tra i più gravi, soprattutto quando segnano la vita della Chiesa. Quando il peccato tocca i legami affettivi, soprattutto se è in atto una crisi o una rottura irreparabile, non è difficile sentire nelle persone una sofferenza profonda spesso accompagnata dall’impotenza a ricostruire o ad attivare una via di riconciliazione. Ce ne sono altri ancora completamente omessi. Alcuni sono “peccati sociali”, magari diventano di moda. Oggi si parla molto, ad esempio di peccati contro l’ambiente, ma tra i più dimenticati ci sono sicuramente quelli che si riferiscono alla vita fiscale Raramente, forse mai, mi è capitato di sentire in confessione: “Padre, ho peccato, non ho pagato le tasse. Non ho emesso fattura”. Oppure: “Don, ho pagato in nero”. C’è anche da dire che la vita fiscale è un settore davvero poco studiato in campo cattolico, anche dagli specialisti. Alcuni anni fa “La Civiltà Cattolica” faceva notare che negli oltre 2.800 numeri nei quali è diviso “il Catechismo della Chiesa cattolica” non c’è nessuna menzione sul dovere di pagare le tasse e sul fisco in genere; se ne parla, invece, nel “Compendio di dottrina sociale della Chiesa”, che dedica appena un numero alla raccolta fiscale e alla spesa pubblica.
In verità il Catechismo, a proposito del quarto comandamento “Onora il padre e la madre”, afferma al n. 2240: “La sottomissione all’autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l’esigenza morale del versamento delle imposte, dell’esercizio del diritto di voto, della difesa del paese”. Si tratta però di un passaggio molto sintetico. Più forza ha avuto il Concilio, che nella “Gaudium et spes” che ha insegnato il dovere sociale di contribuire al bene comune secondo le proprie possibilità e ha denunciato che “non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, alle giuste imposte o agli altri obblighi sociali”.Qualcosa in più lo dobbiamo ancora a papa Francesco: “Pagare le tasse è un atto dovuto per sentirsi cittadini − diceva nel 2017 durante un Angelus domenicale −. Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà umane e sociali senza contrapporre Dio e Cesare, ma illuminando le realtà terrene con la luce che viene da Dio”. Invece “rubare a Cesare” è un atteggiamento che non suscita particolari problemi e neanche drammi in confessionale. Insomma, davanti allo Stato è più facile sentirsi creditori che non responsabili. E poi è facile semplificare dicendo: “Lo Stato spreca i soldi dei cittadini, rubando con eleganza ciò che si guadagna con il sudore”. Può succedere. Lo Stato è un enorme colosso con spese proporzionate, tuttavia il cattivo uso da parte della pubblica amministrazione non dispensa nessuno dai propri doveri, in quanto la qualità di vita del Paese dipende dalla risoluzione che solo lo Stato può affrontare. Resta l’obbligo morale del cittadino di pagare le tasse nella misura richiesta dalle leggi come c’è il dovere sociale di rendere il sistema fiscale sempre più equo e proporzionato. Lo Stato ha poi il dovere di punire e perseguire l’evasione. Di questo si parla molto in questi giorni. Carcere per grandi evasori? E i piccoli? Qualche misura in più sarà forse utile insieme, però, a un po’ più di senso civico e anche a un po’ più di senso del peccato.