Europa: integrazione possibile
Secondo l’edizione 2022 del Barometro Europeo di Edelman Trust, i Paesi che nutrono più fiducia nell’Unione Europea sono l’Indonesia, la Thailandia, l’India, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti. Per trovare il primo Paese europeo, l’Irlanda, bisogna scendere di un gradino e il secondo, l’Italia, di altri cinque. Avete capito bene, hanno mediamente più fiducia nell’UE nazioni lontane ed esotiche che non la media dei Paesi che la compongono (Germania inclusa). Questa eloquente regolarità conferma come, nonostante limiti e lacune evidenti, le istituzioni europee continuino a riscuotere stima solida, probabilmente perché depositarie di principi e meccanismi universali apprezzati soprattutto da società affamate di libertà, stabilità e stato sociale. Hanno ragione gli asiatici, non ci sono mai stati tempi più favorevoli all’integrazione europea. Sul piano razionale, la crescita dell’occupazione dipende in misura cruciale dalla possibilità di scambiare beni e servizi su scala planetaria e di disciplinare questi flussi in modo che a prevalere siano interessi diffusi anziché quelli delle grandi corporations o paurosi fallimenti del mercato.
Ciò richiede complessi poteri di intervento e di regolazione, al di là di quelli rimasti ai singoli stati, e che, a fronte di giganti come Cina, India e Stati Uniti, solo un’Unione Europea rafforzata può dispiegare. Gli shock macroeconomici, le crisi sanitarie o quelle geopolitiche, così come la sfida esistenziale della lotta ai cambiamenti climatici, richiedono risposte che solo un ingenuo o i populistici protettori di rendite oligopolistiche possono proporre di affidare a irrilevanti stati nazionali. Questo vale anche per scongiurare la crisi del debito prossima ventura, o per difenderci da riflessi neoimperialistici mai così espliciti come in questi mesi. Cioè per garantirci la pace nei prossimi decenni. La nostra è l’area del pianeta con minori diseguaglianze di reddito o ricchezza, con l’informazione più libera e dalla cultura più liberale. Abbiamo bisogno di ricucire un tessuto sociale reso fragilissimo da diverse criticità della “vecchia globalizzazione”, così come occorrono investimenti massicci in salute, istruzione e per lo sviluppo sostenibile. Istituzioni europee più avanzate, trasparenti e prossime ai cittadini sono le uniche in grado di mobilitare le risorse necessarie, di assicurare la relativa cooperazione multilaterale e di contrastare con i diritti e la democrazia le spinte all’individualismo e alla frammentazione.