Esiste un'italianità?
Nei primi anni ‘60, il padre della genetica di popolazione umana, Luigi Luca Cavalli-Sforza, stava lavorando a un approccio per misurare l’impatto della deriva genetica sulle popolazioni umane, ovvero quel fenomeno casuale che, insieme alla selezione naturale, determina la differenziazione genetica tra popolazioni. Secondo quanto riportato da Scienza in Rete, tali risultati furono confermati in seguito alla pubblicazione del genoma umano nel 2001, che rese possibile l’analisi di milioni di marcatori genetici distribuiti lungo il dna di ciascun individuo. Innanzitutto è bene rimarcare che le popolazioni umane si differenziano in maniera molto limitata, dal momento che condividono gran parte del loro dna: le differenze che si possono riscontrare in media tra due soggetti presi a caso dalla popolazione mondiale sono di pochi punti percentuali (Enciclopedia Treccani).
Una ricerca recentemente pubblicata su Science Advances ha poi fornito ulteriori elementi nella descrizione del complesso quadro genetico degli italiani, permettendo di osservare come, sebbene le differenze tra individui di diverse regioni sia molto bassa, la geografia abbia un ruolo fondamentale nella distribuzione della variabilità genetica e il grado di differenziazione tra gli italiani sia più ampio di quello osservato all’interno delle popolazioni europee. Il motivo di tale eterogeneità è dovuto, almeno in parte, alla moltitudine di migrazioni che hanno interessato la nostra penisola e che, favorite dalla posizione geografica, hanno introdotto nei genomi degli italiani frammenti di dna provenienti da altri gruppi, vicini e lontani.
Dai contadini del Neolitico che si espansero da quella che oggi è la Turchia, ai pastori nomadi delle steppe del Nord Europa, alle popolazioni provenienti dal Caucaso verso il Sud Italia, fino all’eredità genetica della dominazione Araba in Sud Europa. È l’insieme di tutti questi contributi che si sono susseguiti e sovrapposti nel tempo che ha generato il “ritratto genetico” di quelli che sono oggi gli “italiani”, un cocktail genetico e culturale in continua evoluzione. Esiste dunque un’”italianità”? Secondo Umberto Eco, “il significato dell’Italia è puramente culturale: l’eredità romana, una lingua parlata (almeno a livello letterario) sia da Cielo d’Alcamo che da Bonvesin della Riva, la presenza della chiesa, la barriera naturale delle Alpi, un ideale politico iniziato con Dante, Petrarca e Machiavelli”. Io aggiungerei alcuni valori quali: l’accoglienza, la propensione all’invenzione, una empatia ancora sufficientemente diffusa e un gusto non sopito per la bellezza che, soprattutto dal Rinascimento, costituisce il dono dell’”italianità” al mondo intero.