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di TINO BINO 29 giu 2023 16:48

Eredi e testimoni della cultura popolare

La cultura “pop” quella del consumo di massa ha da tempo scomposto e confuso in un magma indistinto, in una poltiglia dal sapore indefinito, la cultura classica. Senza che ce ne rendessimo pienamente conto la fine del Novecento, l’arrivo del computer, del digitale, del narcisismo social, hanno cambiato il nostro tempo e la nostra vita, siamo precipitati in un tempo nuovo. Una nuova era avanza e travolge gli echi di un passato di cui avremmo voluto conservare le orme. Come hanno tentato di fare in una vita creativa, Achille Platto con il suo dialetto clarense, e Francesco Braghini cantautore della periferia cittadina con la sua poetica malinconica. Sono scomparsi nel mese di giugno. A livello culturale erano testimoni che parevano dei sopravvissuti.

Nell’incedere confuso della cultura classica sono state triturate la cultura alta, degli intellettuali che paiono scomparsi dall’orizzonte come fossero sempre in ferie o in esilio, ma anche la cultura popolare. L’una e l’altra non sono anagoniste, ma si dividono la conoscenza, il sapere. La prima guarda l’universalità della condizione umana, la seconda da nobiltà alla dimensione locale, ai sentimenti quotidiani. E possiede valori di identità dei territori, l’orgoglio delle appartenenze che modificano il vocabolario e l’interpretazione delle parole, dei modi di dire, e di pensare e di guardare il mondo e la vita. Sono dettagli in un contesto che forma una grammatica ordinata, un codice proprio di valori, di rigore formale e di ricerca consapevole delle tradizioni, delle storie, delle radici e del contesto, dal mondo contadino a quello delle prime fabbriche, nel tragitto dalla vita agricola a quella industriale.

Così le personalità della cultura popolare hanno mantenuto accese nel vissuto locale, le memorie del dialetto, della musica popolare e hanno consentito di tradurre nei valori locali il sapere della classicità. Come ha fatto Achille Platto scrivendo il “Bibbiù”. E come ha fatto Francesco Braghini che ha scritto musica carica dell’aria del tempo, l’immaginario della sua città, la Brescia che guardava i Ronchi e riconosceva le fabbriche dal colore dei fumi. Sono testimoni senza eredi, gli ultimi custodi di storie che non sapremo più raccontare. Sono antichi samurai che scompaiono uno alla volta. E per questo dovremo gelosamente conservarne le loro memorie, tramandare i loro ricordi. C’è la benemerita fondazione “Civiltà bresciana” fondata da mons. Fappani che va protetta come il Pantheon della nostra storia. E consentirle di coltivare questo impegno. È lì che debbono finire in custodia perenne, con riconoscenza, le storie dei testimoni come Braghini e Platto. Non per onorarne le ceneri, ma per tenerne acceso il fuoco.

TINO BINO 29 giu 2023 16:48