Educare al dono
Nelle nostre comunità parrocchiali un ruolo rilevante e fondamentale è assunto dai volontari, che con gratuità donano il loro tempo ed energie per lo svolgimento di diverse attività. Questa disponibilità è tutt’altro che scontata; oggi, infatti, sembra prevalere l’affermazione dell’individuo e della sua libertà, lasciando sullo sfondo la società, non cogliendo le relazioni di interdipendenza tra sé e il contesto esterno. Ne consegue che spesso le scelte sono mosse dall’individualismo e non dal senso di responsabilità. L’ appagamento personale e l’autorealizzazione sembrano essere i valori da perseguire; sono le categorie più di moda oggi, ed indicano un soggetto che antepone l’evoluzione individuale a prerogative più sociali e pubbliche. Questa autorealizzazione si compie solo nel singolo, non considerando il mondo al quale appartiene. Viene abbandonata l’idea della filosofia dialogale, secondo cui l’uomo può realizzarsi solo nella relazione con il tu, con l’altro da sé. È accostandomi al diverso da me, infatti, che assumo consapevolezza della mia identità, ma anche della parzialità della mia visione, che nell’incontro con l’altro mi viene restituita nella sua complessità, nelle sue sfaccettature.
Per contrastare questa forma di autorealizzazione dai chiari esiti narcisisti, c’è bisogno di tornare con forza nei diversi contesti di vita ad educare al dono. Esso è un atto di fiducia nell’altro e si configura sempre come un rischio, in quanto donare è rinunciare al controllo sugli effetti del nostro dono: noi doniamo all’altro ciò che pensiamo lui abbia bisogno, e lo facciamo cercando di perseguire il suo bene, indipendentemente dall’uso che farà del nostro dono. Due mi sembrano essere le condizioni perché la persona possa donare: in primo luogo, c’è bisogno di un contesto che favorisca la conoscenza dei propri talenti e la comprensione della propria vocazione, un contesto che permetta di sperimentarsi e provare. In secondo luogo, una volta che la persona scopre il proprio talento, deve essergli data la possibilità di metterlo in gioco e di “spenderlo” per gli altri, assumendo ruoli e svolgendo compiti che consentono di esercitare le proprie responsabilità nei confronti di qualche cosa e di qualcuno. Queste due condizioni sono da coltivare nelle nostre comunità, che devono sempre di più aprirsi per riuscire a cogliere le innumerevoli risorse che ci sono, ma devono anche offrire spazi, fare spazio, affinché le persone possano sperimentarsi.