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di GIORGIO BERETTA 11 nov 2021 09:26

Per una finanza responsabile

La notizia non ha fatto tremare la Borsa, ma è rilevante. Giovedì scorso, il KLP (Kommunal LandsPensjonskasse), il più importante fondo pensione privato norvegese ha annunciato di non investire più in 14 grandi aziende coinvolte nella produzione di armi, compresa l’italiana Leonardo. Il fondo gestisce asset per un totale di 90 miliardi di euro e investe in circa 7.000 imprese di 70 nazioni. Le aziende coinvolte hanno sede in Italia, Gran Bretagna, Francia, Israele, India, Cina e Stati Uniti e sono state escluse perché producono armi o componenti di armi nucleari, mine antiuomo, bombe a grappolo, ordigni che violano i principi umanitari fondamentali.

Per quanto riguarda in particolare Leonardo, il fondo ha precisato che “si tratta di una multinazionale con una vasta presenza in Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Polonia. Produce caccia e elicotteri da combattimento, ordigni per artiglieria navale, munizioni, carri armati e altri veicoli militari ed è responsabile dell’assemblaggio degli F-35 Joint Strike Fighter per l’aviazione italiana, velivolo in grado di sganciare ordigni nucleari”. Il KLP ha, inoltre, sottolineato che “Leonardo detiene il 25 percento di una joint-venture, la MBDA, che produce missili nucleari”.

La decisione di KLP fa seguito alle iniziative intraprese già da tempo dal Fondo Pensione del Governo norvegese – il maggior fondo sovrano mondiale con 930 miliardi di euro di patrimonio investito – che ha escluso investimenti nel settore degli armamenti nucleari e ad aziende produttrici di sistemi militari coinvolte violazioni dei diritti umani.

Sono decisioni che appartengono alla “responsabilità sociale d’impresa”, ambito che non riguarda solo né principalmente la legalità di un investimento, ma considera il suo impatto sulla comunità, locale e internazionale, sull’ambiente, sulla sostenibilità. È in questo contesto che si colloca anche la richiesta, di cui è portavoce da anni la Campagna di pressione alle “banche armate”, agli Istituti di non concedere finanziamenti e servizi bancari alle aziende militari che esportano armamenti a governi di Paesi coinvolti in conflitti armati, a regimi repressivi e che violano gravemente i diritti umani. Il sistema della produzione militare si avvale, infatti, non solo di canali di finanziamento pubblici, ma anche privati, spesso poco noti e sui quali, anche in Italia, il controllo degli organi preposti, a cominciare dal Parlamento, è superficiale.

Ne parleremo nella tavola rotonda “L’economia degli armamenti: per una finanza responsabile e disarmata” che si terrà nell’ambito del Festival della Pace, venerdì 19 novembre (ore 17.30) al Teatro San Carlino; interverranno, oltre al sottoscritto, Martina Pignatti Morano (Presidente del Comitato Etico di Banca Etica) e Francesco Vignarca (Coordinatore delle Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo).

GIORGIO BERETTA 11 nov 2021 09:26