È solo “vanità” della memoria?
Giovanni Gregorini scriveva nel suo contributo inserito nel terzo volume della raccolta “A servizio del vangelo, il cammino storico dell’evangelizzazione a Brescia”, la valutazione innegabile e condivisa dell’importanza dell’oratorio nella storia diocesana
Giovanni Gregorini scriveva nel suo contributo inserito nel terzo volume della raccolta “A servizio del vangelo, il cammino storico dell’evangelizzazione a Brescia”, la valutazione innegabile e condivisa dell’importanza dell’oratorio nella storia diocesana. Aggiungeva, tutta questa ricchezza “non è tuttavia supportata da una corrispondente produzione scientifica, e questo costituisce un aspetto per certi versi problematico, di fronte alle sfide del tempo presente”. È stato il punto di partenza per avviare l’ipotesi di una pubblicazione di un volume articolato e documentato sulla vita degli oratori bresciani. La riflessione ha portato a preferire un itinerario che mirasse dapprima ad un’attenta raccolta di documenti e materiali per la costituzione di fonti destinate ad un fondo di archivio delle esperienze oratoriane territoriali. La pubblicazione della raccolta degli articoli usciti negli scorsi anni sul quotidiano BresciaOggi dal titolo “Oratori Bresciani, cronache di ieri e di oggi” ha dato l’avvio per un interesse ulteriore che è sfociato nella costituzione di gruppo di lavoro, coordinato dall’Università Cattolica, che vede la collaborazione dell’Ufficio per gli oratori e della Fondazione Civiltà Bresciana. Un seminario ha formulato un’ipotesi di lavoro che prevede in primo luogo quattro punti: recuperare e alimentare le fonti, favorire la conoscenza e la memoria di aspetti e tematiche del cammino oratoriano, promuovere seminari di studio e confronto e infine la produzione un volume di spessore culturale e accademico. Fatta la cronaca, sono doverose alcune considerazioni. La memoria, che diventa vana se vive solo di sintonia con la cronaca, diventa invece feconda se essa stessa si fa azione concreta e animata da una “scelta dello scopo”. Questa frase di Bernhard Casper porta a definire il perché di un cammino di ricerca sulla storia (memoria) dell’oratorio bresciano di fine Ottocento e Novecento.
Nel linguaggio comune parlare di ricordo o memoria ha lo stesso significato, ma c’è diversità. Il ricordo ha un significato elementare, quello di un evento che appartiene al passato e viene richiamato alla mente per qualche analogia o richiamo all’esperienza che si sta vivendo. La “memoria” è una “costruzione” dentro la quale ricordi, volti, opere, traguardi o sconfitte vengono opportunamente ordinati, – nel tempo e nello spazio – assumendo un preciso significato, quasi un racconto dalle profonde trame. E noi pensiamo che una “memoria” della storia oratoriana non si riduca a ricordi, ma si faccia azione feconda. “Si tratta di prendere sul serio il tempo” (Franz Rosenzweig, Das neue Denken), pensare il tempo con profondità, avventurarsi quindi in una coscienza documentata e riletta e, come suggerisce Sant’Agostino (Le Confessioni), fare memoria significa raggiungere le cose “di nuovo” per averne conoscenza, ossia chiamarle a raccolta come da uno “sbandamento confuso”. Può anche accadere che molti volti dei don o di animatori siano stati dimenticati, nomi di protagonisti e catechisti relegati in vecchi archivi o album fotografici, luoghi come cortili, teatri, campi polverosi di calcio siano ormai abbandonati o felicemente ristrutturati. Ma quello che sono stati no. È da riportare quindi a ragione e libertà quanto le nostre comunità hanno saputo narrare. L’oggi dell’oratorio non può permettersi di “sbandare” perché incurante della memoria, una storia dell’oratorio quindi può realizzare fattivamente ciò che Agostino chiamava “Il presente del passato”. Forse, anche se poco, alle nuove generazioni se “non sappiamo accendere quel fuoco, non troviamo più quel posto nel bosco, abbiamo dimenticato quella preghiera, ma di tutto questo possiamo ricordare la storia. E questo non per fermarsi ma per ripartire, per nuovi racconti e nuovi oratori. E come dice Levinas “non spetta a te portare a termine il lavoro, ma non sei nemmeno libero di sottrartene”.