Due città, la stessa radice
Cosa c’è dietro la candidatura congiunta lanciata nei giorni scorsi da Brescia e Bergamo, oggi unite dalla sofferenza ma che hanno storie comuni
Si dice popolarmente che bresciani e bergamaschi sono cugini. Sarebbe più appropriato dire che sono fratelli, con tutte le caratteristiche dei fratelli: dalla più affettuosa complicità nel fare qualcosa di bello alle frizzanti rivalità. Magari per contendersi, come i biblici Esaù e Giacobbe, redditizie primogeniture. Né fra loro mancano quelle bonarie scherzosità che significano più simpatia che disprezzo. Il vescovo mons. Bruno Foresti, bergamasco, diceva che ci vogliono due bresciani per fare un bergamasco. Di rimando i bresciani associano volentieri i bergamaschi a Gioppino, la loro storica maschera, paesana, testarda e imprevedibile. E temono i temporali che vengono dalla bergamasca come più disastrosi di altri.
Emulazione. Fra le due parti non manca una appassionata emulazione e un continuo confronto che sprona al meglio. Si dice che a Bergamo, quando si conteggiano i partecipanti a una iniziativa, si indaga quanti erano a Brescia in analoga circostanza. Poi arriva puntuale la risposta: “A Bergamo eravamo alcuni in più”. Ma queste, pur simpatiche ragioni da serata after eat, non reggono di fronte alle altre, ben più profonde che hanno portato il sindaco di Brescia Emilio Del Bono a proporre a quello di Bergamo Giorgio Gori, la congiunta candidatura delle due città a “Capitali italiane della cultura” per il 2023.
Propostsa. La proposta del primo cittadino di Brescia è stata accolta con entusiasmo, nello spazio di mezzo secondo, poiché l’idea è legata alla assoluta necessità da parte della terra lombarda di rialzarsi dopo la terribile e inaudita bufera della pandemia Covid-19. Rialzarsi e continuare con vigore il cammino con prospettive serene per il futuro. Del flagello della malattia contagiosa Bergamo e Brescia, fra le città lombarde, sono state colpite crudelmente, con un alto numero di vittime e un amaro fiume di dolore. Brescia e Bergamo hanno tutte le carte in regola per presentarsi unite in nome della cultura. Hanno radici comuni che le legano: sono state entrambe terra di San Marco, hanno avuto il medesimo sviluppo economico dal tempo dell’“Albero degli zoccoli” (non per nulla Ermanno Olmi girò questo film al confine delle due province) alla stagione della industrializzazione e di quanto ne è seguito. Hanno la stessa storia religiosa, quella che generò i due santi papi del Concilio: Giovanni XXIII e Paolo VI. Fra Brescia e Bergamo vi è pure stato un fecondo scambio di Vescovi.
Patrimonio. Le due città hanno meraviglie artistiche degne di essere viste. Il loro territorio, con il Sebino in mezzo, è fra i più affascinanti del nord Italia. Hanno risorse, creatività, impresa, umanità per sollevarsi e ripartire.
La cultura, infatti, non è solo questione di pezzi da museo. La cultura è vita. E vita significa anche musica, teatro, svago, gastronomia, incontro, conoscenza, relazioni… Un insieme di realtà che contribuiranno non poco a far ricuperare alle due città il tanto che si è perso con la pandemia.
Esempio. Inoltre questo abbinamento potrebbe essere un esempio per l’Italia: quasi un annuncio che le città non sono fortezze chiuse nelle loro mura ma comunità aperte che interagiscono con altre comunità in un territorio che le accomuna. Insieme non si perde mai, si trovano più opportunità. I primi passi sono stati fatti. A causa della emergenza sanitaria Parma continuerà a conservare il titolo di capitale della cultura italiana anche per il 2021. L’augurio è che questi primi passi portino al traguardo. Sarebbe bello che tanti italiani e stranieri, venissero in Lombardia “a fronteggiar bresciani e bergamaschi”, per dirlo con un verso di Dante. Un sogno che le due belle città meritano s’avveri.