Donne: amare e lavorare
“Amare e lavorare” sono le due attività che, secondo S. Freud, permettono la salute psicologica. In occasione della Giornata internazionale della donna viene da chiedersi se oggi le donne siano nelle condizioni di potersi realizzare in queste due funzioni. Oggi una donna riesce ad amare e lavorare? Molte no, pensiamo alla loro ridotta partecipazione al mercato del lavoro: nel nostro Paese una donna su due non ha un lavoro retribuito. E se riescono, a quale costo? Con quali fatiche? Si parla di mamme acrobate, equilibriste, che sperimentano una diffusa mancanza di tempo, ritmi frenetici, spesso accompagnati da sensi di colpa, vissuti di inadeguatezza e frustrazione.
I dati parlano chiaro: le donne sono ancora lontane dal raggiungimento dell’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro sia dal punto di vista occupazionale sia retributivo. La pandemia ha reso ancor più difficile la relazione tra vita e lavoro e molte donne si sono trovate a dover scegliere tra la famiglia e l’occupazione. Ci troviamo di fronte ad una recessione al femminile: la she-cession. Ma perché siamo costrette a scegliere, perché non possiamo realizzarci sia nella famiglia sia nel contesto lavorativo? Questi interrogativi non interpellano solo le donne, ma chiamano in causa l’intera società. Chiamano in causa la famiglia, i servizi, le organizzazioni di lavoro.
Intendo soffermarmi sul primo contesto, la famiglia: il fenomeno è sicuramente connesso al ruolo che la donna ricopre da sempre all’interno della famiglia e agli stereotipi e rappresentazioni che si sono consolidate nel tempo. In una recente ricerca svolta sul tema nel territorio nazionale la coppia è stata analizzata come dispositivo di mediazione nella relazione tra famiglia e lavoro. È emersa una triangolazione positiva tra l'ampiezza del supporto, la fiducia e l'equità percepita dello scambio, che incide sul benessere personale, lavorativo e sulla conciliazione.
Dal punto di vista pedagogico, dunque, risulta centrale la capacità della coppia di rinegoziare periodicamente le proprie regole di funzionamento, che non vengono date dall’esterno, ma che ognuno deve provare a costruire e poi a rivedere e modificare. Oltre a ciò, è necessaria una maggior condivisione di impegni e responsabilità in famiglia, così come la sperimentazione di nuove modalità di relazione tra il maschile e il femminile, avviando un rapporto impostato sul riconoscimento della differenza e della reciprocità. Tale prospettiva fa superare la femminilizzazione del problema, che risulta essere causa del gender gap occupazionale e retributivo, per aprire ad una visione relazionale che coinvolge la coppia e l’intera famiglia. Ma quanto siamo ancora distanti da ciò? Se ogni qual volta vediamo un papà fare il papà lo chiamiamo mammo? Se continuiamo a pensare che il partner ci aiuta? La strada è ancora molto lunga… ma ognuno di noi può fare il suo pezzo, provando ad innestare dei piccoli cambiamenti nelle pratiche quotidiane, nei pensieri, nei giudizi.