L'icona dell’amore cristiano
La morte di don Roberto Malgesini, ucciso da uno dei suoi assistiti affetto da disturbi psichici, ha fatto irruzione nella cronaca di questi giorni. La sua è la storia di un prete diocesano che ha scelto di servire Dio e il suo popolo con uno sguardo di predilezione particolare per i poveri. Un prete silente, che non hai mai rilasciato un’intervista sui giornali e mai ha fatto della sua carità vissuta e quotidiana uno status sociale, un modo di mettersi in mostra o di attirare consensi, ma che semplicemente ha servito Dio negli ultimi e nel nascondimento. Così ce l’ha raccontato anche il professor Mauro Magatti, comasco che l’ha conosciuto, all’inizio del suo intervento al tradizionale convegno dei sacerdoti bresciani tenutosi in città nei giorni scorsi, proponendolo quasi come chiave di lettura del ministero presbiterale in questo tempo di ripartenza pastorale. La vita e la morte di don Roberto, icona dell’amore cristiano senza misura, sono quelle di un santo della porta accanto, come l’ha definito mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como, davanti alla folla che ha riempito la cattedrale e la piazza del Duomo di Como per ricordarlo. Un prete che si è donato fino alla fine, la cui testimonianza non può non interrogare anche i preti e laici bresciani soprattutto in questo particolare tempo di prova. Ma perché abbiamo bisogno di questa provocazione? Anzitutto per non perdere il senso della realtà. Ciò che siamo come Chiesa, come parrocchie, come comunità cristiane non può dimenticare quel legame con la vita degli uomini, con le loro gioie, i dolori, le fatiche e le sofferenze che attraversano le vicende della gente. Il tempo della pandemia ci ha messo alla prova, ma possiamo dire che, seppur con tanti dubbi e fatiche, le nostre comunità non hanno tradito questa vicinanza alle persone, ma oggi va rinnovato nello stile di un amore senza misura, fino all’effusione del sangue, se necessario, ci dice don Malgesini.
La tentazione di cedere alla stanchezza, l’impressione parrocchie in ritirata o in difesa solo di posizioni acquisite, ormai disilluse, esiste anche tra noi, anche tra i preti, e diventa quasi una crosta impermeabile che resiste a qualsiasi sollecitazione. Come riprenderemo il nostro cammino in questo anno? Sapremo non perdere questo senso della realtà rinnovandoci con la creatività che scaturisce dallo Spirito che guida la Chiesa? In secondo luogo la provocazione del martirio di un prete come don Roberto provoca la nostra decisione di spenderci nelle relazioni umane, anche quando si tratta di mettere in gioco le nostre sicurezze e di scegliere di essere fragili per amare e lasciarsi amare. La seconda sfida nel tempo della prova resta allora quella di permanere nelle relazioni. Tra gli inviti che la lettera pastorale del Vescovo “Non potremo dimenticare”, ci propone c’è anche la ricerca di ciò che è essenziale, l’urgenza di una pastorale che ci aiuti a sentirci comunità e capaci di rinnovare la società. La via delle relazioni resta l’unica strada che ci è proposta per percorrere questo cammino, per entrare in dialogo con questo mondo, l’unico linguaggio che gli uomini d’oggi sono disponibili ancora ad ascoltare. Sapremo ritrovare lo stile di una Chiesa, esperta di umanità come ci suggeriva San Paolo VI, ripensando la qualità delle nostre relazioni? Sapremo prendere coscienza di essere “tutti in connessione” come abbiamo capito in questi mesi? E nella mia parrocchia cosa significa tenerne conto? Infine questo fatto di cronaca provoca tutti noi a rinnovare la fiducia che solo la misura dell’amore di una vita donata genererà qualcosa di nuovo. Così è avvenuto nei secoli per il cristianesimo, soprattutto grazie al sangue dei martiri. Così non potrà non avvenire anche per noi oggi se riprenderemo il cammino con speranza.