Diversi gradi di sciacallaggio
C’è una forma di sciacallaggio, forse ancora “meno nobile”: quella della politica
In questi giorni, giustamente, le pagine dei giornali, i programmi radiofonici e televisivi e i più importanti social sono concentrati sul sisma che nelle prime ore del 24 agosto scorso ha devastato una parte dell’Italia centrale, seminando morte e distruzione. Una presenza, quella dei mezzi di comunicazione, che se nei primi giorni è stata preziosa per fare sapere al mondo intero ciò che era successo e la gravità della situazione che la popolazione colpita doveva affrontare, col passare del tempo ha cominciato e mostrare dei limiti. L’informazione ha lasciato il posto alla polemica, a volte vera a volte costruita ad arte, e la polemica, come si sa, non conosce limiti, nemmeno quando è giocata sulle spalle di tante persone che vivono condizioni di grande sofferenza. E così cominciano a spuntare gli sciacalli... E non si tratta solo di quelli che vanno a rovistare tra le macerie in cerca di qualche oggetto prezioso da portare via.
C’è anche un’altra forma di sciacallaggio, forse ancora “meno nobile”: quella della politica. Come è possibile che dinanzi a un dramma come quello che ha toccato Amatrice, Accumoli, Pescara e Arquata del Tronto e tante altre comunità il mondo delle politica non trovi di meglio che impegnarsi in una zuffa per meri intenti elettorali? Perché, anche in situazioni come quelle che il Paese sta vivendo, gli appelli alla coesione finiscono sempre per sbattere contro il muro di chi preferisce all’interesse di chi si trova in condizioni di bisogno il proprio tornaconto? C’è poi un ultimo genere di sciacallaggio squallido: quello di chi, soprattutto sui social, non ha esitato un secondo per usare il dolore delle popolazioni colpite per attaccare chi accoglie i profughi... Una polemica francamente fastidiosa, che non meriterebbe nemmeno di essere citata, ma che non può passare sotto silenzio. Nelle Marche, nel Lazio, in Umbria oggi ci sono migliaia di persone che con dignità chiedono di essere aiutate e non di essere coinvolte in una guerra tra poveri.