Dimmi come parli
Il linguaggio madre ci aveva affascinato. Avevamo visto, in fondo al tunnel del vivere umano, la possibilità di un cambiamento: le nostre parole avrebbero potuto giungere al cuore degli uomini! Ecco perché, a distanza di otto mesi dal convegno sacerdotale diocesano sul Linguaggio Madre, stupisce il silenzio e la mancanza di coraggio nel provare a declinare con scelte concrete le proposte di quei giorni. Avere qualcosa di grande da comunicare e non riuscire a trasmetterlo provoca frustrazione. E una Chiesa storicamente maestra nei linguaggi comunicativi non può permettersi il lusso di gridare nel deserto. E neppure non può stare nelle piazze parlando lingue sconosciute. Ci vorrebbe una nuova Pentecoste nella vita concreta e non soltanto nella liturgia. Desiderare che la Chiesa d’oggi, come 2000 anni fa, abbia il coraggio di “uscire” da Gerusalemme inventando nuovi modelli organizzativi o torni ad abitare le piazze parlando lingue che tutti comprendono, anche se provengono da diversi contesti sociali e culturali, è un tema affascinante. È urgente, perché tocca l’attualità. È profetico, perché ci orienta al futuro.
Chi vive la pastorale di frontiera in ambienti laici (lavoro, scuola, sport …) sa bene che per poter essere significativi servono argomenti e linguaggi mai scontati, mai banali, mai ripetitivi. Possibilmente bisogna essere provocatori e diretti nei contenuti. Alcuni esempi. Frequentando i giocatori della Germani Basket, la prima frase che dico è sempre: “I don’t speak English”, non parlo inglese, precludendomi così la possibilità di uno scambio di idee diretto. Oppure, frequentando i giocatori del Brescia Calcio, mi sento dire: “Don, lascia stare la Messa; preferiamo continuare i nostri incontri leggendo il Vangelo e commentandolo insieme. Nella Messa siamo spettatori annoiati mentre nella lectio divina ci sentiamo protagonisti, possiamo discutere e approfondire, capiamo e ci viene spiegata la Parola di Dio”. E quante volte la discussione continua anche durante la cena, affascinati da un linguaggio madre di fede. Se poi considero la partecipazione di 15 atleti sui 28 presenti in albergo (percentuale di frequenza altissima considerata l’età media di 25 anni) capisco che questa è la via. Nelle parrocchie è forte la tristezza per l’assenza dei ragazzi nel dopo cresima. Per consolarci diciamo che nessuno possiede la ricetta per coinvolgerli. Detto con altre parole, nessuno conosce i loro linguaggi… E se non parli la stessa lingua, difficilmente puoi sperare di continuare un rapporto o un dialogo di vita e di fede.
Dimmi come parli e ti dirò chi sei, recita un vecchio adagio. Se non sappiamo parlare con parole comprensibili: a che serve? Se chi ci ascolta non capisce: perché insistere? Se il mondo utilizza linguaggi diversi dei nostri… è solo colpa del mondo?