Della vita non si parla più
La guerra ha messo in secondo piano due temi rilevanti: la legge sul “suicidio assistito” e la legalizzazione della “maternità surrogata”. Ora arrivano in Parlamento. In gioco c’è il valore della dignità umana
La guerra determinata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo in secondo piano l’attenzione di larga parte dell’opinione pubblica rispetto a due temi rilevanti, “sensibili”: mi riferisco alla questione della legge sul “suicidio assistito” e alla legalizzazione della “maternità surrogata”. Due provvedimenti calendarizzati, all’ordine del giorno del nostro Parlamento: i senatori, dopo audizioni e dibattito, voteranno sul primo provvedimento, già approvato alla Camera; i deputati affronteranno il secondo. L’invito a trovare composizioni chiare ed equilibrate, da parte del Parlamento, è più che mai attuale. Il confronto tra le associazioni, i movimenti, i gruppi parlamentari non è solo politico ma ha anche una forte valenza culturale nel presente e ancor più in prospettiva, che non va sottovalutata, e che sollecita un richiamo al concetto di dignità umana.
Il suicidio assistito. Concentrandomi, in questa breve riflessione, sul tema del “suicidio assistito”, promuovere la centralità della dignità umana contro violenze e discriminazioni è una delle grandi sfide del nostro tempo: riguarda la dignità di ogni donna e di ogni uomo sia come singolo sia come componente di formazioni sociali, ovvero quei corpi intermedi, di cui chiaramente parla la nostra Costituzione, che consentono anche di rendere concrete l’inclusione e la coesione sociale. Non è certo un caso che la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” - che a seguito del Trattato di Lisbona ha valore vincolante - si apra con la parola “dignità” e il primo articolo sia dedicato alla “dignità umana”, definita “inviolabile”, per cui deve essere “rispettata e tutelata”, quindi promossa dalla sfera pubblica. Oggi è essenziale parlare di dignità umana quale elemento al di sopra degli ordinamenti giuridici, dei sistemi politici, del sistema economico. Non va infatti dimenticato che i diritti umani sono l’esito di un lungo cammino non concluso, peraltro contraddistinto da molte sofferenze e sacrifici, e che una pesante lacuna della nostra società non è la mancanza formale di riconoscimento di diritti, ma la loro limitata concreta applicazione nel riconoscimento della dignità di ogni donna e di ogni uomo. Dato il contesto, l’alleanza tra scienza, dignità umana e vita è fondamentale per una società che scelga di porre al centro, anche per il futuro, la dignità propria di ogni persona in tutte le fasi della sua esistenza, in particolare quando è più vulnerabile. Non a caso i grandi temi che riguardano la natura e la dignità intrinseca di ogni essere umano – quella che viene chiamata questione antropologica – appassionano l’opinione pubblica e la rendono consapevole e partecipe quando vengono presentati in modo trasparente e non ideologico. Infatti, la persona umana è per la vita, tutto spinge verso la vita. Il dramma della sofferenza e la paura della morte non possono oscurare questa evidenza.
La solitudine e la paura. Chi sta male chiede soprattutto di non essere lasciato solo, di essere curato e accudito, di essere amato fino alla fine. Anche in situazioni drammatiche chiedere la morte è sempre espressione di un bisogno estremo di amore. Certo, la possibilità di rinunciare intenzionalmente a vivere c’è sempre stata nella storia dell’umanità; ma questo è altro dalla “pretesa” che questa tragica possibilità sia elevata al rango di diritto, di un diritto di morire che il singolo rivendica come proprio nei confronti della società. Tutte le persone, perciò, debbono essere efficacemente aiutate a vivere e non a morire, a vivere con dignità, non a morire per un’idea erronea di pietà. L’uomo merita amore e rispetto non perché è ricco o sano, ma semplicemente perché esiste. Finché vive, non solo per chi è credente, conserva sempre la sua dignità anche se povero, infermo o in coma. Si può definire legittimo il togliergliela?