Cure palliative psicologiche
Probabilmente con la fine della stagione estiva si tornerà a parlare di vaccinazioni e di rigide regolamentazioni per l’accesso alle strutture sanitarie. La speranza è che non si debba nuovamente assistere all’estrema disuguaglianza di considerazione fra la dimensione fisica della persona e la dimensione psicologica. Non ho usato volutamente l’espressione “sanitaria” (invece di “fisica”) perché anche lo psicologico è sanitario. Ricordo che, anche se solo (oserei dire) recentemente, dal 2018, la professione psicologica è riconosciuta come professione sanitaria. Eppure mi sembra che nei fatti questo riconoscimento manchi. Altrimenti come si spiegherebbe che, ad esempio, un anziano ricoverato in emergenza e definito in condizioni estremamente fragili (cioè sul filo del rasoio tra la vita e la morte) non possa godere della vicinanza dei suoi familiari se non per mezz’ora al giorno? Immaginiamo questo anziano catapultato all’improvviso in un mondo di estranei: quali benefici può avere dalla sola mezz’ora al giorno di vicinanza con i suoi cari sulle 24 ore? Le sue emozioni (positive o negative) non influenzeranno il suo organismo? Ormai è innegabile la correlazione tra psiche e corpo, innegabile a livello teorico, ma quanto ne viene tenuto conto nella pratica sanitaria\assistenzialistica? Credo che anche la presenza dei familiari sia terapeutica. Esiste un obbligo deontologico anche per le cure palliative per l’aspetto psicologico e il supporto dei familiari credo possa essere considerato una cura palliativa psicologica: sarebbe molto importante tenerlo presente nel regolamentare le visite o nel sentirsi giustificati, come sanitari, a fare eccezioni. Lo stress abbassa le difese immunitarie, ma anche se non abbassasse i linfociti, è correlato ad un vissuto di sofferenza. Ma sembra che la sofferenza psichica sia meno importante di quella fisica: una sofferenza A ed una sofferenza B. Ma chi ha stabilito questo primato? Esiste un primato? Chiedete ad una madre che ha un figlio tossicodipendente se preferirebbe avere un tumore: forse vi risponderebbe che soffrirebbe di meno con un tumore. Vorrei tanto ci fosse più comprensione per la dimensione psicologica della persona, perché l’uomo non è solo un corpo. Forse basterebbe più flessibilità nel valutare le singole situazioni perché, ad esempio, un giovane ha risorse e strumenti (anche tecnologici) per affrontare psicologicamente un’ospedalizzazione da solo, un anziano no: lui è in condizione di fragilità. L’obiettivo primario della sanità credo sia quello di garantire in ogni condizione la migliore qualità possibile di vita. E nella qualità di vita va indubbiamente considerato anche il benessere psicologico.