Cultura delle differenze
Perché la vita di Francesco è molto più difficile di quella di tanti suoi coetanei di sedici anni? Perché Francesco cammina come una ragazza, parla come una ragazza, si atteggia come una ragazza. E per questo Francesco è soggetto agli sguardi invadenti, ai risolini e, a volte, a esplicite offese. Li sente addosso, sulle spalle, in autobus, a scuola, al centro commerciale. Perché una persona che si muove in un modo “strano”, che è obesa, che ha un naso enorme, che si atteggia in maniera non conforme al suo sesso biologico o che, in qualche modo, è fuori dalla norma viene giudicata, criticata, derisa (il più delle volte alle spalle) o addirittura aggredita (verbalmente, ma a volte anche fisicamente)? Nessuno penserebbe di deridere una persona disabile, che pur, per definizione non è normodotata, cioè si discosta dalla norma. Perché questo atteggiamento non può essere applicato a tutte le forme di diversità? Perché il rispetto per le differenze individuali non viene applicato verso tutte le categorie di persone? Ma andiamo oltre: perché categorizzare? Perché inserire cioè gli individui in categorie? Essere definiti ci imprigiona per sempre in un ruolo, in una parte di noi, ci riduce a quella parte, ma noi non siamo solo quella parte, siamo molte altre parti che insieme costruiscono la nostra identità.
E, inoltre spesso siamo in cammino, in cambiamento. In psicologia non si parla di normalità, ma di norma, che è un concetto che ha a che fare con la statistica, indicante il discostamento non estremo dalla media. È un contemplare tante possibilità di essere, senza parlare di patologia. Dire che una persona non è normale è infatti usato il più delle volte come offesa. C’è sempre in noi un’abitudine mentale a categorizzare e spesso in maniera binaria: normale/non normale, bello/brutto, grasso/magro, eterosessuale/omosessuale, buono/cattivo. Positivo sarebbe pensare ed accettare che coesistono caratteristiche che a volte sono opposte: ad esempio, il male e il bene (non siamo totalmente buoni o totalmente cattivi), qualcosa di brutto e qualcosa di bello. Così negli altri. Sarebbe bello accogliere ciò che è distante da noi, molto diverso da noi. Anzi, di più, sarebbe utile favorire una cultura delle differenze individuali, una proliferazione di infinite soggettività, infiniti processi di soggettivizzazione. Ognuno è un soggetto a sé, unico e come tale va rispettato. Anche se si discosta dalla norma. A volte la norma produce una violenza sorda, sottaciuta, non esplicita, ma presente. Una violenza segreta, ma che fa sentire in qualche modo una pressione su chi alla norma non appartiene.