Covid: trauma o percorso di crescita?
Questa situazione ha travolto tutti, ma soprattutto i medici e gli infermieri che, seppur relativamente abituati al confronto giornaliero con la malattia grave e con la morte, notificano un carico di lavoro senza precedenti e un panorama emotivo sconvolgente. Il punto di vista dello psicologo clinico di Fondazione Poliambulanza
Daniela, 34 anni, infermiera in terapia intensiva dell’Ospedale di Monza non ce l’ha fatta. Il 24 marzo, invece di recarsi in corsia, si è chiusa in bagno e si è tolta la vita. Nessun problema psicologico pregresso, ma, pare, un vissuto complicato che ha un nome e un cognome: Trauma da Covid-19. Questa situazione ha travolto tutti, ma soprattutto i medici e gli infermieri che, seppur relativamente abituati al confronto giornaliero con la malattia grave e con la morte, notificano un carico di lavoro senza precedenti e un panorama emotivo sconvolgente che in termini clinici può essere definito come “medicina delle catastrofi”. Il Covid-19 lascerà segni psicologici profondi su di noi e su molti di loro. Non sempre le cose vanno come ce le aspettiamo e l’immediato futuro dipende spesso da come ciascuno risponde ai cambiamenti. In situazioni normali c’è chi si spaventa della propria ombra, chi tende a negare e a nascondere la propria realtà, chi invece riesce a rispondere con coraggio osservando e condividendo con gli altri la propria esperienza di vita e c’è chi si sa adattare al meglio sapendo integrare tutte le dimensioni del proprio essere e del proprio vissuto nel modo più funzionale possibile, senza negare e senza occultare quello che vive. Il trauma da Covid-19 si è presentato come uno spartiacque, forse per questo molte persone hanno iniziato a sperimentare varie reazioni psicologiche. Se è vero che la mente per sua natura tende a proteggersi dal dolore, non è raro che molti abbiano iniziato a sperimentare i cosiddetti stati dissociativi post-traumatici: esperienze di distacco da sé e dalla realtà. Pensiamo alle frasi che abbiamo ascoltato e detto: “Tutto questo è surreale, mi pare di sognare e di essere in un incubo”.
E poi i momenti della giornata con sensazioni di depersonalizzazione, derealizzazione, vuoti di memoria e anestesia emotiva oppure momenti di amplificazione degli stati emotivi e un esponenziale aumento di quelle dimensioni che parlano della fragilità: ansia, pensieri rimuginanti, insonnia, irritabilità, agitazione, aggressività eccessiva, percezione d’inefficacia nel gestire la paura, rabbia incontrollata e difficoltà a percepirsi padroni di sé e del proprio contesto. Un trauma. Tra i fattori più duri c’è l’alto numero dei decessi. Ripenso al personale sanitario: cosa accade quando in ospedale capita di dover informare una giovane paziente che nell’arco di poche ore ha perso sia il padre sia la madre, mentre lei stessa era ricoverata? Cosa può generare l’assistere impotenti al decorso della malattia che in certi casi è stato velocissimo? Può generare una crisi sistemica. Ho avuto la possibilità di ascoltare in seduta psicoterapeutica sia i pazienti che alcuni medici e infermieri che lavorano in corsia. Tutti vorrebbero sentirsi già fuori da questa situazione. La verità è che non ci rendiamo ancora conto del calibro del trauma che abbiamo vissuto. Tutti hanno la percezione che quanto avvenuto sia avvenuto in fretta. Tutti tendono ad esprimere paura per il futuro e hanno la sensazione di non poter uscirne del tutto da questo brutto momento. I medici e gli infermieri sono sfiancati. La loro priorità è di essere vigili durante il lavoro e dormire abbastanza durante le ore di riposo. Prevale una sorta di rimozione della fatica simile alla rimozione del trauma, come anche un bisogno di riorganizzazione mentale di quello che hanno vissuto e stanno vivendo. Hanno bisogno di essere ascoltati per raccontare le proprie emozioni, per darle sfogo per far evolvere questo trauma in un percorso di crescita. Hanno la necessità di tentare di dare un senso a tutto questo. Loro, come tutti noi.