Covid, la realtà e il suo racconto
C’è sempre uno scarto tra il detto, lo scritto e la realtà, uno scarto tra la parola e quel che vuole significare. C’è uno scarto. Sempre. La realtà che si vive e il modo di raccontarla offrono sempre una distanza tra la verità e la sua narrazione. Le parole non sempre riescono a dire tutto quello che vorrebbero mostrare. Lo sanno bene i poeti, lo sanno bene gli artisti, qualunque sia la loro arte, che tra l’opera e la realtà/ispirazione c’è sempre qualcosa di mancante. Questo è il motivo per cui un artista prende tempo, lavora sulle sfumature, cesella ogni aspetto nei minimi particolari, incide con le parole la materia per farle dire la realtà. Capita così, alle volte, di trovarsi davanti a lettere e suoni che si avvicinano molto e sempre più alla verità; capita che, con parole e lettere, sapientemente scelte, si ricostruisca un mondo scolpito poeticamente. La parola, oggetto di studio, di lavoro, di amore e di odio, da parte di molti nella storia, è ancora e sempre più usata, abusata, non capita, fuorviata o volutamente storpiata tanto nell’aspetto fonico, quanto nel suo significato e nel campo semantico in cui si colloca. Ecco che allora capita che chi ha meno tempo da dedicare alla scelta e alla ponderazione della parola per la necessità di “uscire”, di essere il primo, l’unico o perché vuole ottenere l’effetto scoop o la ricerca eccessiva del “titolone”, della copia venduta, del like e condivisione social…finisca col presentare una realtà/verità che appare sfalsata. Ecco che si inneggia a casi di quarantena per positività Covid presunte tali, senza verificare la fonte, quando si tratta di isolamento preventivo, si notano i problemi, scontato che ci siano, e non si colgono le positività di una situazione come quella delle scuole che provano comunque, nella fatica, ad “essere scuola”, a garantire la didattica insieme alle norme di sicurezza, per il bene di tutti. Si costruisce una realtà che “non è”, si evidenzia qualcosa sulla scorta del populismo comunicativo e si ottiene l’effetto voluto perché la percezione del “cosa sia” è data da chi la racconta, per professione o meno, e ne costruisce un’opinione pubblica che non sempre corrisponde al vero… Forse sarebbe opportuno che chi comunica, lo faccia per passione della verità, anche se apparentemente sembra una posizione perdente e non per essere il primo a sbandierare qualcosa. La credibilità per la verità accertata e raccontata paga, magari non subito, ma paga e dovrebbe essere il fine di ogni professionista della comunicazione.