Cosa sappiamo del Blue Whale?
Le informazioni sul “Blue Whale” sono ancora molto incerte e confuse, come purtroppo avviene per la maggior parte dei fenomeni oscuri e usati anche per attività illegali, nate sui social network
La notizia era già venuta alla ribalta attraverso i social network, ma dopo il servizio da parte del programma televisivo “Le iene” è diventata oggetto di attenzione anche dei grandi mezzi di comunicazione e di stampa, con giornalisti che ne attestano la drammatica verità e altri, invece, che affermano che ci si trova di fronte alla ennesima terribile fake news che la rete fa circolare in maniera virale e anonima. Stiamo parlando del fenomeno “Blue Whale”, una sorta di “gioco” dell’orrore, portato avanti tramite web, che istiga i giovanissimi a suicidarsi seguendo una serie di regole precise. Una macabra vicenda che sembra aver già portato al suicidio molti ragazzi in Russia. Prima ancora che il programma tv raccontasse del suicidio di un 15enne di Livorno nel febbraio scorso associandolo, grazie alla testimonianza di un compagno di scuola, al tragico percorso social definito “Blue Whale”, il primo dato certo, su cui è nata ogni possibile speculazione e verità sul fenomeno social in questione, è quello fornito da Unicef sul tasso dei suicidi di adolescenti in Russia: oltre mille suicidi l’anno in media per i ragazzi tra i 15 e i 19 anni, con una percentuale tre volte superiore rispetto alla media nei Paesi occidentali economicamente sviluppati.
Preso per vero questo dato si apre il capitolo suicidi “Blue Whale”. Nel maggio 2016 sul sito di un autorevole periodico russo è stata pubblicata un’inchiesta in cui si è cercato di dimostrare che tra il novembre 2015 e l’aprile 2016 circa 130 suicidi di adolescenti andavano ricondotti ad alcuni gruppi presenti su VKontakte (VK) – il social network russo simile a Facebook – che incitavano al suicidio, postando foto e video, pratica siglata come “f57”. Un’ottantina di questi suicidi, secondo la fonte giornalistica russa, sarebbero collegabili al cosiddetto “Blue Whale”. Secondo altre fonti, però, ci sono state diverse controinchieste che non avrebbero riscontrato tracce effettive del cosiddetto sistema “Blue Whale”, almeno non in forma sistematica e organizzata nei dettagli. Per cominciare a “vivere” l’esperienza “Blue Whale” bisognerebbe entrare in determinati forum o gruppi social e scrivere un messaggio con l’hashtag #f57.
Da un momento all’altro avverrebbe il contatto da parte di un “master” che, usando informazioni personali dell’adolescente, e minacciando di spifferarle ai familiari, sottoporrebbe il giovane utente a 50 prove per 50 giorni consecutivi – dall’autoinfliggersi ferite e tatuarsi disegni a forma di balena sulla carne viva, a vedere film horror e ascoltare urla e suoni sinistri – fino alla dimostrazione finale di avvenuta sottomissione, cioè il suicidio dall’ultimo piano di altissimi edifici. Tutto ciò è fino ad ora stato impossibile da verificare nei dettagli. Le informazioni sul “Blue Whale” sono ancora molto incerte e confuse, come purtroppo avviene per la maggior parte dei fenomeni oscuri e usati anche per attività illegali, nate sui social network. Certo è che, vero o falso che sia il fenomeno, il mondo della rete mostra il suo lato pieno di rischi e pericoli, soprattutto per i più giovani e i più fragili.