Contenuti oltre le parole!
Ci siamo così abituati a usare impropriamente le parole da registrare quasi con fastidio una loro più precisa messa a fuoco. Prendiamo la parola “governatore”, ad esempio: vuoi mettere com’è più evocativa rispetto alla piatta dizione di “presidente della Giunta regionale”! Il guaio è che a forza di pompare il ruolo c’è il rischio che chi ne è investito pensi veramente di avere prerogative che non ha. Ma di questo parliamo magari un’altra volta. Torno alla questione delle parole che usiamo per definire una cosa mentre quella cosa è in realtà del tutto diversa. Il caso del giorno è “smart working”, impostosi per necessità all’attenzione di tutti nel lockdown della scorsa primavera, ripropostosi con forza nelle ultime settimane. Contrariamente all’esempio d’apertura qui non c’è calcolo o furbizia, solo un bel po’ di confusione. Se fosse solo lessicale potremmo rimandare la questione a tempi migliori. Non è così. Ma prima qualche numero. Il Centro Studi di Confindustria Brescia ha fotografato in questi mesi una rivoluzione: prima dello stop che tra il 9 marzo e il 18 maggio ha bloccato tutte le attività non essenziali, le aziende bresciane che prevedevano forme di lavoro a distanza erano il 5,3%; con il lockdown vi ha fatto ricorso il 77% delle imprese manifatturiere e il 92% di quelle del terziario.
Oggi dichiara di voler continuare anche dopo l’emergenza il 30% delle aziende associate. Il mondo del lavoro del dopo pandemia non sarà più lo stesso. Anche per questo non potremo più permetterci parole generiche per stabilire l’affermarsi di nuove forme di lavoro. “Smart working” non è sinonimo di “remote working” o di “telelavoro” o di “home working”. Dobbiamo attraversare questa nebbia di anglofonie per arrivare al punto. Che è presto detto: non basta lavorare fuori dall’azienda per essere in “smart working”. Occorre che lavoratori e datori di lavoro si accordino per passare dal paradigma del controllo a quello della fiducia e della condivisione di responsabilità. Oggi siamo al semplice telelavoro: fare a casa quel che si faceva in azienda osservandone orarie e vincoli organizzativi. Ma è il cambiamento di mentalità che rende “smart” il lavoro. Un cambiamento contrattato, svincolato da appiccicose forme di paternalismo 4.0. Il mondo del lavoro potrà dire di avere imparato qualcosa da questo drammatico anno se comincerà a fare innovazione organizzativa partendo dalla partecipazione. Solo allora potremo entusiasmarci per lo “smart working”.