Con gli occhiali della speranza
Le cattive notizie non mancano mai. Incidenti, omicidi, guerre, calamità naturali non possono essere taciuti. Il racconto è sempre necessario. Ma con quale sguardo? Papa Francesco, in occasione della giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2017
Le cattive notizie non mancano mai. Incidenti, omicidi, guerre, calamità naturali non possono essere taciuti. Il racconto è sempre necessario. Ma con quale sguardo? Papa Francesco, in occasione della giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2017, chiede a giornalisti e operatori della comunicazione di indossare gli occhiali della fiducia e della speranza. Non si tratta di raccontare solo le notizie che hanno un contenuto buono, ma che lo sguardo con cui ogni notizia è narrata trovi nella Buona Notizia del Vangelo il principio ispiratore e uno stile che, nel rispetto dei fatti, promuova l’incontro e preservi la dignità di ogni persona umana.
È roba da stampa cattolica o da giornalisti cristiani? Non proprio o non del tutto, perché in gioco ci sono la costruzione della comunità, lo story telling di un territorio, di un Paese e del mondo, la percezione della vita e dei rapporti sociali della gente.
Il Papa propone l’inedito sguardo della fiducia e della speranza a tutti. Ai giornalisti in primis che più di altri corrono il rischio di svilire la realtà minando inevitabilmente la credibilità della loro professione.
Tra i più gravi atteggiamenti in cui rischiano di incorrere oggi gli operatori della comunicazione c’è, infatti, quello della pervicace e insana volontà di spettacolarizzazione della notizia. Un scrittura che non aggiunge al racconto alcunché di rilevante e non aiuta ne l’approfondimento del pensiero ne la lettura critica delle situazioni. Un fenomeno mediatico questo che, paradossalmente, anche a Brescia tocca ormai più il livello microlocale dell’informazione della provincia che non i tradizionali organi d’informazione locali.
Un ulteriore atteggiamento problematico riguarda il modo con cui il giornalista e i giornali percepiscono il loro compito. Da semplice cronista, l’operatore della comunicazione si sta trasformando in un “protagonista autoreferenziale “ dell’informazione. Un processo che si è accelerato grazie all’uso dei social network. Facebook, Twitter sono diventati il pulpito da cui alcuni giornalisti amano pontificare su tutto e su tutti. Non contano tanto la notizia e le sue conseguenze, ma la rilevanza e lo spazio mediatico commisurati al coinvolgimento del giornale o della televisione “di bandiera” e, ancora peggio, il solo protagonismo del giornalista che non è più il narratore, ma l’artefice e il deus ex machina di ogni racconto. Cresca perciò l’umiltà dell’artigiano di notizie che Francesco sogna con gli occhiali della speranza e della fiducia. La sfida è aperta. Lo è principalmente per noi, giornali e giornalisti cattolici. Se infatti oggi la Chiesa, anche nelle diocesi, ci chiede uno stile di comunicazione più efficace e incisiva non lo fa solo per dare senso alle risorse anche economiche che impegna, ma perché si aspetta “narrazioni impastate di Vangelo” che altri non sanno o non vogliono fare. Giusto! Forse perché, in un certo modo, questo servizio solo noi lo possiamo fare.