Comunità che si ricordano dei germogli
Che ti abbiano generato alla fede o che ti abbiano accolto come seminarista in cammino, le comunità cristiane ti aiutano nella preghiera e nell’esercizio della loro maternità ad incarnare quel suggestivo passaggio dal battistero all’altare, senza paura e nella verità
“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa, i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa”. Così recita il salmo 128. La comunità cristiana è madre, professa nella storia la sua fede e genera figli, la sua fecondità viene dall’accoglienza dello Spirito Santo che suscita nei battezzati la policromia della vocazione. La bellezza dello Spirito è questa familiarità dinamica che mette la Chiesa in continuo movimento, che risveglia in lei, sempre tentata di sterilità, l’urgenza del Vangelo, della fedeltà al suo Sposo.
In questo affresco di vita sorgono le sagome, appena abbozzate di quanti scoprono che il “per sempre” e il “per gli altri”, seminati il giorno del battesimo, germogliano nella forma del ministero presbiterale: la comunità, da brava mamma, chiama! Ti sveglia, ti svela scenari di vita inaspettati, gloriosi. Ti fa scoprire quello che il Signore sta facendo crescere in te, ti sprona e ti fa partire, fa un passo indietro e vive nello stile orante. Cosa è questo stile orante? È lo stile, il modus vivendi di chi ha la memoria lunga: la comunità si ricorda di quei germogli; nell’eucarestia festosa e nel silenzio del quotidiano intriso del servizio nascosto e umile fa memoria del pellegrino che cerca la pienezza promessa senza elogi e inutili esaltazioni, che tante volte illudono e mascherano la fatica della verità, perché un figlio non è mai “perfetto” e nonostante questo è sempre amato. Il pellegrino, fuori dai sentieri conosciuti, si mette in cammino e raccoglie i semi da spargere nel campo del mondo. Prova, con tremore e gioia, a camminare tra le zolle smussate di altri terreni misteriosi, scopre una maternità più ampia e le comunità accolgono i passi incerti e pieni di speranza.
La Chiesa mette in campo una “botanica spirituale”, non si tratta di creare forme perfette, tutte uguali, tutte secondo un modello precostituito, ma di far fruttificare secondo la propria specie, secondo il battesimo che si fa vita nella storia del mondo per rivelare la salvezza di Dio, le comunità hanno bisogno di vedere che Dio salva e solo i figli possono rivelarlo, allora il germoglio si irrobustisce ma per crescere c’è bisogno delle potature; una comunità che riceve il dono di un seminarista, germoglio di un figlio, è chiamata alla responsabilità, alla correzione, con benevolenza e pazienza, con la grandezza d’anima di chi cerca il bene, la bellezza del fratello, con la premura di chi ti sta accanto, di chi ti tende la mano. Si tratta di starci con tutta la propria vita ecclesiale perché si dilati il cuore del pellegrino.
La vita del seminarista è un mistero di comunione, sempre provocato dalla vita dei cristiani che costruiscono la Chiesa, che si lasciano guidare dello Spirito Santo: la comunità provoca alla vita nuova, la vita dei veri adoratori in Spirito a verità, la vita di chi ama nei fatti, la vita pasquale di chi passa dalla morte alla risurrezione, la Vita del Figlio che “non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2, 6b-7). Come ricorda sinteticamente la nuova Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis: “Dal momento che il discepolo sacerdote proviene dalla comunità cristiana e a essa ritorna, per servirla e guidarla come pastore, la formazione si caratterizza naturalmente in senso missionario, in quanto ha come fine la partecipazione all’unica missione affidata da Cristo alla sua Chiesa, cioè l’evangelizzazione in tutte le sue forme” (Il dono della vocazione presbiterale, Osservatore Romano, 8 dicembre 2016).
Che ti abbiano generato alla fede o che ti abbiano accolto come seminarista in cammino, le comunità cristiane ti aiutano nella preghiera e nell’esercizio della loro maternità ad incarnare quel suggestivo passaggio dal battistero all’altare, senza paura e nella verità.