Come farsi vicini ai giovani?
La vediamo la grandezza dei giovani? Non è scontato. Il percorso che la Chiesa bresciana sta compiendo, dopo il recente Sinodo dei giovani, in vista di alcune decisioni sul rapporto tra la pastorale giovanile e la sua qualità vocazionale segna il passo di un Consiglio presbiterale residenziale di un paio di giorni vissuto a Bienno e che ha prodotto già alcuni esiti precisi.
La vediamo la grandezza dei giovani? Non è scontato. Il percorso che la Chiesa bresciana sta compiendo, dopo il recente Sinodo dei giovani, in vista di alcune decisioni sul rapporto tra la pastorale giovanile e la sua qualità vocazionale segna il passo di un Consiglio presbiterale residenziale di un paio di giorni vissuto a Bienno e che ha prodotto già alcuni esiti precisi. Ci sarà da attendere l’analogo passo del Consiglio pastorale diocesano, della Consulta delle aggregazioni laicali e di un gruppo di teologi per arrivare poi alle decisioni del Vescovo. È l’esercizio concreto del “consigliare” auspicato da Tremolada nei mesi scorsi e che oggi prende forma e si traduce, su questo tema, in un metodo, in uno stile che richiede impegno a tutti i livelli della vita diocesana. Ma la novità vera di questo passaggio è che il vaglio trasversale di questo processo, e delle scelte che ne scaturiranno, ha già intercettato alcuni giovani dai 18 ai 30 anni che amano la Chiesa e che hanno espresso alcune letture e richieste puntuali durante le giornate di Bienno. Una decina di loro, già coinvolti nel percorso di ascolto nello scorso anno pastorale, ci hanno chiesto: “Ma voi la vedete la grandezza dei giovani? Avete cura delle relazioni coi giovani anche quando la frequentazione diventa più rarefatta? Come possiamo non perderci di vista in mondo in cui la parrocchia non esaurisce più la vita dei giovani? Come mai anche nella Chiesa, se i giovani dimenticano il passato, sembra che gli adulti o dimentichino il futuro e il fatto che alle nuove generazioni appartiene il domani? Dove si colloca il punto d’equilibrio tra la significatività di alcune iniziative, la loro necessità, la fatica della loro gestione e gli spazi e i tempi dell’accompagnamento e del discernimento? Come si accompagna, come ci si fa vicini anche nell’ordinarietà e nell’informalità delle relazioni? Come metterci accanto? Ma voi vi accorgete che il mondo femminile rischia di essere il grande escluso nella vita della comunità cristiana?”.
Domande sincere. Forse scomode. Domande che non hanno mancato di interpellare non tanto e solo le scelte pastorali o nuove iniziative da mettere in campo coi giovani o nei nostri oratori, ma la vita e l’identità dei nostri preti e che potranno, perché no, provocare anche la vita dei laici e dei tanti adulti cristiani che abitano ancora le nostre comunità. Quale direzione prendere allora? Il cambiamento sembra chiedere di dare qualità alla nostra vita, più che moltiplicare le attività di pastorale giovanile. Il cambiamento, forse, esigerà di fare spazio per qualificare ciò che va nella linea di ciò che è essenziale senza perdere occasioni opportune, ma esige altresì di non disperdere le energie in cose secondarie o di sopravvalutare progetti che alla lunga rischiano di non introdurre i giovani alla fede e alla bellezza della vita. Il cambiamento magari dovrà rimettere a tema il protagonismo dei giovani e delle giovani laddove si progetta, si decide. Serviranno ancora “luoghi di pensiero pastorale” da cui partire e tornare per dare senso al bene compiuto. Infine andrà coltivato il desiderio di prenderci cura gli uni degli altri, giovani e adulti insieme, nelle piccole e grandi vicende della vita per dare più qualità evangelica al nostro camminare verso il Signore. Molto è emerso in questi giorni. Molto altro giungerà, credo, anche negli altri contesti che riflettereranno su questo cammino. Molto da chi ha continuato ad amare i giovani in questa nostra Chiesa bresciana. E non sono pochi.