Collaboratori della gioia
L’ordinazione di nuovi presbiteri diventa un invito a riflettere sul significato e sul compito che un pastore è chiamato a esprimere e a svolgere in una comunità. I tempi – si sente spesso dire – non sono dei più facili. Chissà se ce ne sono mai stati di tempi facili! Eppure, nello scorrere degli anni e della storia, le Chiese hanno visto ripetersi questo prodigio: alcuni battezzati hanno accolto l’invito a vivere la propria vocazione nella forma del ministero ordinato. La loro disponibilità ci scuote. Possiamo fare tante considerazioni, le più disparate. Resta tuttavia un fatto: alcuni giovani hanno deciso di offrire la propria vita, con talenti e limiti, per essere segno di Cristo pastore nelle nostre comunità. Non è detto che ce la faranno sempre o che non incontreranno resistenze interiori ed esteriori. Una cosa però è certa: questo ‘fatto’ non può lasciarci indifferenti. Non può lasciare indifferenti noi preti. Forse troppo affaccendati o stanchi per guardare con stupore il rinnovarsi di questa vocazione. Forse già così delusi da tante asperità da non aver voglia di gioire per questo emergere di nuovi presbiteri. Chi tra noi, tuttavia, riesce ad avere uno sguardo fresco, certamente non potrà che rallegrarsi del bene che rappresentano. Un anziano prete mi ha confidato di sentire una profonda gratitudine il giorno delle ordinazioni, quasi sentisse in lui il ripetersi di quella grande gioia. Non può lasciare indifferenti neppure le nostre comunità. Troviamo in san Paolo una delle più belle definizioni del compito dei preti: sono i “collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24). Penso che avere in casa degli intercessori della gioiosa grazia del Signore sia una promessa di bene per tutti. Le comunità dovranno ricordare ai giovani preti che è per questo che sono stati mandati in mezzo a loro. Inizia dunque il cammino. Non sono al punto zero. La soglia l’han già passata, solo non devono fermarsi. Sarebbe un grave errore pensare che, siccome il sì è stato detto, il più sia fatto. Sappiamo che non è così. Entrano, qualora vi fossero mai usciti, nel vorticoso scorrere delle cose. I cambiamenti sono sempre più repentini. Ogni giorno ne facciamo esperienza quando, guardando il nostro cellulare o il nostro computer, vediamo che ci vien chiesto incessantemente di “aggiornare” l’una o l’altra applicazione. Sorge così la percezione d’essere sempre un po’ superati. Il loro cammino dovrà fare i conti con questo mondo veloce e complesso. La loro forza però non viene dal mondo. Ecco perché devono sentire rivolto a sé stessi il “non temere”, che Gesù spesso ripete ai suoi discepoli. “Quando perdiamo di vista l’obiettivo, raddoppiamo gli sforzi” recita un detto. Le comunità saranno molto esigenti e il lavoro non mancherà. Li aspetta un compito arduo, ma sanno Chi rende possibile la loro missione. Se lo sguardo resterà sempre rivolto verso il Signore, non verranno meno neppure le forze e l’entusiasmo per fare ogni cosa. Non sono soli. Questo è il punto di forza. Sono in un corpo e questo corpo ha una Pastore grande (Eb 13,20). Se non dimenticheranno Chi guida la Chiesa accetteranno anche di non essere perfetti, sapranno chiedere aiuto, non si vanteranno di ciò che non è loro e non vacilleranno di fronte alle stonature. Sapranno fermarsi e ricominciare. Questo è il tempo in cui a loro viene data la fiducia di accompagnare alla gioia i cristiani e gli uomini con cui cammineranno. Un tempo difficile, ma è il nostro tempo carico di occasioni attraverso le quali il Signore non cessa di generare speranza. Buon cammino.