Chiese ai fratelli cristiani
Una bella notizia per l’ecumenismo bresciano: recentemente, nella frazione Novagli di Montichiari, è stata inaugurata una chiesa per gli oltre 1400 fedeli ortodossi che gravitano in quelle zone. Si tratta di un capannone industriale, acquistato dalla comunità rumena e moldava, riconvertito e adattato alla nuova destinazione, in cui i lavori non sono ancora terminati, ma gli elementi indispensabili per farne un luogo di culto, primo fra tutti l’iconostasi, ci sono tutti. Si realizza così il sogno di tanti cristiani che desideravano un ambiente per celebrare in modo dignitoso la liturgia e vivere la loro fede. Un sogno che non si è arreso davanti alle difficoltà: due anni fa, infatti, era sfumata la possibilità di utilizzare la chiesa di Santa Maria del Suffragio per ospitare la comunità di rumeni e moldavi.
Ed è proprio questo fatto che deve farci riflettere. Al di là del caso specifico di Montichiari su cui, è ovvio, non possiamo dare giudizi, dobbiamo constatare che parecchie delle nostre chiese sono oggi sottoutilizzate (quando non del tutto inutilizzate) mentre molti fratelli cristiani non hanno luoghi in cui riunirsi per le celebrazioni e per la vita di comunità. Questo perché sotto sotto, probabilmente pensiamo ancora alla chiesa-edificio come luogo di appartenenza e di rappresentanza, di cui non si possono (o non si vogliono) modificare le caratteristiche: è certo che un’ iconostasi cambierebbe il volto di una nostra chiesa e che l’utilizzo molto più ampio di candele e immagini, tipico della liturgia ortodossa, potrebbe lasciarci perplessi. Ma ciò che si vede è davvero la cosa più importante?
O non è più importante quello che una chiesa rappresenta e testimonia? Essa è sì un luogo, ma se questo non diventa il segno di una comunità attenta, aperta e accogliente, capace di rinunciare a qualcosa di non essenziale per essere davvero fraterna e generosa, rischia di perdere valore e significato. Parliamo tanto di ecumenismo e la Diocesi ha una lunga e consolidata tradizione in questo campo, eppure, talvolta, alla condivisione di esperienze e celebrazioni non segue un impegno altrettanto determinato sul piano concreto nello spirito dell’accoglienza. Il messaggio che ci viene da Montichiari, oltre alla gioia per una comunità ortodossa vitale e ormai radicata, è che solo andando al di là degli aspetti esteriori e aprendoci alla novità dell’altro, saremo in grado non solo di predicare, ma anche di praticare un vero ecumenismo.