Che tenerezza quei Santi
Non so a voi, ma a me fanno ancora tenerezza i Santi Faustino e Giovita! Quei due, così semplici, sconosciuti, coraggiosi, impavidi cavalieri pronti a tutto pur di impedire che la loro città fosse devastata
Non so a voi, ma a me fanno ancora tenerezza i Santi Faustino e Giovita! Quei due, così semplici, sconosciuti, coraggiosi, impavidi cavalieri pronti a tutto pur di impedire che la loro città fosse devastata, che al solo apparire in sogno, intenti dall’alto delle mura del Roverotto a difendere il loro popolo dagli assalitori milanesi guidati da Niccolò Piccinino, li turbano a tal punto da indurli a far fagotto e a ritornare in fretta a casa. “Miracolo”, gridarono i bresciani. E miracolo, da quel momento – 13 dicembre 1438 – fu considerato quel gesto, “mai compiuto, tutt’al più sognato, però bastevole a richiamar il popolo al dovere della riconoscenza”, che di fatto allargava a dismisura l’aureola di santità assegnata a Faustino e Giovita, martiri per amore e fedeltà a Cristo quando il calendario segnava l’anno 1438 e Brescia cercava futuro lungo il decumano e sulle pendici del colle Cidneo. Di acqua, sotto i ponti, ne è passata parecchia. Non così tanta, però, da portarsi via devozioni e tradizioni che immancabilmente tornano a proclamare i Patroni. Che sono, credetelo, davvero tanti e tali da lasciare a bocca aperta quel variegato mondo composto da popolani, nobili, straccioni, ricchi, poveri, colti, vanesi, intelligenti, ignoranti, uomini e donne, politici e politicanti, predicatori di senno e annunciatori di sventura, viaggiatori in cerca di sapere e predatori interessati soltanto agli affari… Uno di questi miracoli targati “fausti&giovi”, quello della festa pagana, si rinnova e assume le sembianze di un carro che a ogni sussulto imbarca gente pronta a occupare l’occupabile, perché “altrimenti, che sagra sarebbe?” In verità, un’altra festa dei Patroni sarebbe possibile. Potrebbe incominciare con qualche devozione e preghiera, che non farebbero male a nessuno e che ridarebbero lustro e credibilità al concetto di “novena” preparatoria; entrare nel vivo radunando il popolo devoto attorno alle sante reliquie, richiamando ciascuno al dovere di partecipare almeno a una Messa e affidando ai bresciani il compito di portare in strada il messaggio, antico ma sempre nuovo, che “una città migliore, più unita e solidale, disposta ad accogliere e a condividere è ancora possibile”. Dopo, tutto il resto: chincaglierie, biline e biscocc, castagnaccio, caldarroste, fibbie, cinture, borse griffate e sgriffate, limoni e limoncelli, bistecche e bistecchiere, pane e salami, stracchini e formaggi di ogni tipo e guisa, ma anche, in rari luoghi privilegiati, la solita buona e succulenta trippa bresciana.