Cesare, una vita spenta a 13 anni
A tredici anni la vita si apre. A tredici anni si comincia a sperimentare l’ebbrezza del volare da soli. A tredici anni tutto è inedito, facile, pieno di fascino. A tredici anni qualche nube attraversa l’orizzonte del cuore nella ventura e nella vertigine di capire chi si è, cosa si vuole e chi si pensa di diventare
A tredici anni la vita si apre. A tredici anni si comincia a sperimentare l’ebbrezza del volare da soli. A tredici anni tutto è inedito, facile, pieno di fascino. A tredici anni qualche nube attraversa l’orizzonte del cuore nella ventura e nella vertigine di capire chi si è, cosa si vuole e chi si pensa di diventare. A tredici anni gli affetti familiari restano fondamentali, ma l’amicizia, le prime simpatie e la voglia di mettersi in gioco danno sapore a ogni istante. A tredici anni la vita di Cesare Ziboni si è spenta sulla montagna.
Non è giusto, anche se grazie a Cesare qualcuno la vita potrà illuminarla con una nuova prospettiva. Martedì scorso all’ospedale Santa Chiara di Trento è stato infatti effettuato l’espianto degli organi del tredicenne di Sale Marasino, rimasto vittima, come la madre, Raffaella Zanotti, e l’amico, Luciano Bertagna, dello scivolone mortale durante una scalata sul ghiacciaio della Presanella.
Proprio dopo essere uscito dalla sala operatoria, al suo risveglio, ha messo nero su bianco un gesto di generosità, regalando ad altre persone una nuova vita, nel nome del suo Cesare. Cesare era arrivato al Santa Chiara in condizioni disperate, ma non si era mai smesso di sperare in una sua ripresa. Le speranze però si erano interrotte quando i medici hanno dovuto dichiarare la morte cerebrale del ragazzino lunedì mattina. Cesare e la sua mamma sono morti sui monti che amavano. La montagna così capace di elevare il cuore e la mente degli uomini ai più nobili sentimenti, così capace di educare al senso della vita attraverso la fatica del cammino e la gioia della vetta conquistata questa volta li ha traditi. È bella la montagna, ma non accetta distrazioni. È dura la scalata, e se da un lato riempie il cuore e gli occhi di stupendi orizzonti, dall’altro esige rispetto, preparazione, competenza e prudente vigilanza. Avvicina a Dio la montagna, ma talvolta strappa alla vita chi ancora meriterebbe di camminare per un lungo tratto di sentiero. Gli amici, i familiari, la comunità di Sale Marasino si sono subito stretti intorno a queste famiglie. Non troppe parole, ma molti abbracci stanno segnando queste ore dei dolore. E mentre il saluto nella preghiera per Luciano è avventuto mercoledì pomeriggio, madre e figlio, morti insieme, insieme saranno salutati. Chi crede piange, prega e affida al Dio del cielo questi amici. Chi non crede, forse tace e solo piange. Tutti ammiriamo il coraggio di papà Giovanni e Andrea, il figlio superstite della tragedia di domenica, che attraverso il dono degli organi di Cesare hanno magnificato ancora una volta davanti alla comunità intera che la forza della vita è più forte della morte. Tutti comprendiamo che adesso per loro e per i familiari di Luciano il cammino nei giorni verso la vetta della vita quotidiana sarà molto più triste e difficile. Tutti siamo chiamati a imparare ancora una volta l’ennesima lezione che viene dalla fragilità della nostra esistenza umana.