Censis: manca la voglia di fare sacrifici
Presentato il 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese: interpreta i più significativi fenomeni socio-economici nella fase di crisi che stiamo attraversando
La lettura dello stato sociale del Paese con gli occhiali del CENSIS è da sempre decisiva per cogliere le tendenze di breve-medio periodo in atto: quella attuale segna una radicale discontinuità rispetto al passato, si potrebbe affermare che siamo alle soglie di una nuova era. L’incidenza negativa della fase di stagnazione e di recessione modifica gli stili di vita. E’ finita l’era dell’abbondanza anche se il quadro di incertezze si manifestava da tempo: è variato la stesso schema dicotomico tra percettori di reddito e strati sociali meno abbienti (garantiti versus non garantiti) in quanto l’inflazione riguarda tutti, pur con differenziali rapportati.
Viene meno lo scudo protettivo del risparmio accumulato a motivo della crisi energetica.
Le oscillazioni del PIL tra il 2020 (fortemente negativo ad un meno 9%) , il rimbalzo del 2021 più 6,7 % e il 2022 con una crescita acquisita del 3,9% mentre il FMI ipotizza per il nostro Paese un meno 0,23% per l’anno a venire, esprimono incertezze e discontinuità. Il 93% degli italiani è convinto che l’inflazione durerà a lungo, il 69% teme per il proprio tenore di vita (di cui il 79% tra i redditi più bassi) il 64% sta intaccando i risparmi per far fronte alle dinamiche inflattive.
La pandemia, la guerra in Ucraina, l’alta inflazione e la morsa energetica sono i quattro vettori sovrapposti che spiegano lo stato di crisi attuale e si aggiungono alle vulnerabilità strutturali del Paese: siamo in una fase di post-populismo in quanto si profilano, oltre le appartenenze ideologiche, misure protettive con una certa continuità, specie tra i governi occidentali (dazi, rimpatrio delle produzioni, politica energetica).
Da questo punto di vista non ha più senso parlare di derive populiste, non si tratta infatti di aspettative demagogiche polarizzate su tendenze irrealistiche. Il tema del nazionalismo riaffiora ovunque, non solo qui. La globalizzazione risulta aver impoverito ampie fasce delle classi medie e la crisi economica determina un mix di comportamenti sociali collettivi orientati al pessimismo e all’inazione.
Non si manifestano al momento fiammate conflittuali di piazza ma si registra una sorta di “ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica”, secondo la brillante definizione del Direttore Generale del CENSIS, Valeri. E’ importante rimarcare come alle ultime elezioni politiche il partito preponderate è stato di gran lunga quello dei non votanti (circa 18 milioni di cittadini, pari al 39% degli aventi diritto. Tra le elezioni politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati). Nell’immaginario collettivo si è sedimentata la convinzione che tutto può accadere, si diffonde una sorta di paura straniante verso pericoli imminenti. Non funziona più la sequenza tra lavoro, benessere economico e democrazia.
Entriamo in una età di rischi planetari incontrollabili: l’84% degli italiani paventa che eventi lontani possano cambiare radicalmente i propri stili di vita e le aspettative per il futuro, il 61% teme il terzo conflitto mondiale, il 59% pensa alla possibilità della bomba atomica, il 58% teme che l’Italia possa entrare in guerra.
C’è un’intersezione tra grandi eventi della storia che irrompono nella nostra quotidianità, dentro le micro storie della nostra esistenza. I comportamenti collettivi tipici della società dei consumi stanno radicalmente mutando rispetto alle dinamiche del passato: fare carriera, modernizzarsi, crescere nella scala sociale, circondarsi di beni materiali, migliorare le aspettative in un futuro che finisce ora per acquietarsi nel presente.
Otto italiani su 10 dicono di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare, 36 su 100 non sono disposti a fare carriera nel lavoro, anche per guadagnare di più. Il nichilismo di questo tempo si spiega attraverso il sentimento prevalente della malinconia, l’io non è mosso da spinte propulsive verso il dominio e il cambiamento del mondo intorno a sé. Si inceppano i meccanismi proiettivi che hanno caratterizzato il passato anche recente: c’è uno sgretolamento di aspettative e un’assenza di motivazioni forti. Si cerca di raggomitolarsi in nicchie minimaliste di protezione e di sicurezza, paventando eventi catastrofici e distruttivi.
Nonostante una decrescita storica dei reati la percezione diffusa è una paura di vulnerabilità, insicurezze e rischi, anche personali. Denatalità e tsunami demografico negativo svuoteranno a poco a poco le aule, dalla scuola dell’obbligo all’Università. Inoltre rischiamo di avere un sistema sanitario senza medici e infermieri.
Insomma si sta forse chiudendo un ciclo storico espansivo, il mito del progresso che sfonda i limiti, ad una ad una cadono certezze emotivamente rassicuranti e prevalgono insicurezze di fronte ad un ignoto che non si sa descrivere. Inazione, latenza e malinconia come sentimento collettivo prevalente ridimensionano bruscamente aspettative radicate nell’immaginario collettivo del recente passato. Ma un prolungamento della fase latente della vita sociale comporta il rischio di una specie di masochistica rinuncia, senza forza e ambizione, ad ogni tensione a trasformare l’assetto sistemico e civile della nostra società. Una sorta di acchiocciolamento nell’egoismo, di avvolgimento a spirale su se stessa della struttura sociale che ci inchioda tutti a traguardi brevi, in una condizione prevalente di incertezza resiliente ad un ottimismo che non c’è.