Carissimo Pinocchio
Carissimo Pinocchio, che sei stato costruito nel mio cuore il giorno stesso in cui io sono stata concepita, ti scrivo per chiederti, supplicarti, di tornare a casa. So quanto possa risultarti fastidiosa questa domanda. E dal retrogusto che sa di stantio. Esattamente il contrario di ciò che piace a noi due. Io arrivo da mesi in cui a casa ci sono dovuta stare per forza, tu da mani che ti avevano creato così bello, che non ti volevano lasciare. E allora via, alla ricerca di luoghi che siano più attraenti della città in cui vivo, di persone più interessanti di quelle che conosco, di esperienze più forti di quelle quotidiane, di oggetti che, con la loro novità, plachino un pochino quella voglia di nonsochè che non mi lascia in pace. Quanto ci assomigliamo, caro Pinocchio! D’altra parte siamo cresciuti insieme in quella stanzina così accogliente che ti sei subito ricavato nel profondo del mio cuore. Ti ricordi quando bruciavamo la scuola, perché al teatro dei burattini non c’era da faticare e si rideva e ballava per tutta la notte? Per fortuna la mattina, stanchi e senza difese, ci si ricordava di essere anche Figli, non solo burattini mossi dai fili intricati del Mangiafuoco di turno, e la nostalgia del Padre ci rimetteva in cammino, con il desiderio di tornare addirittura migliori di prima, a patto di non cadere nell’inganno del Gatto e della Volpe.
Ma quante volte l’abbiamo scampata? Una? Forse un paio, per poi imbatterci nell’omino di burro, l’astuto nemico della natura umana, che ancora e sempre ci seduce con un bacio, un sorriso e il suo canticchiare sommessamente: “Io non dormo mai”. Caro amico mio, sai cosa ho capito nello scorrere del tempo e dalle numerose cadute? Che tu ed io con le nostre sole forze non ce la faremo mai a resistergli. Abbiamo bisogno, tu della bella Fatina dai capelli turchini e io della Grazia che Dio mai nega a chi gliela chiede. Vuoi finalmente tornare, burattino del mio cuore? Posso assicurarti che la strada del ritorno è disseminata di buoni incontri: c’è il grillo parlante, un pochino pedante, hai ragione, ma c’è. E la lumaca, gli uccellini, la marmotta, il delfino. Quanti piccoli alleati possiamo avere quando le forze vengono meno e noi siamo malconci, reduci dall’ospedale o dal carcere o dal ventre del pescecane. Ti chiedo di tornare nel mio cuore, compagno di tante avventure, anche perché ho bisogno di te, del tuo spirito libero, che è un richiamo a vivere la vita come un pellegrinaggio, verso un ritorno a Casa definitivo, tra le braccia di quel Padre che ci ha sempre guardati non come burattini, ma come figli. E alla fine lo saremo veramente.