Carissimo Peter Pan
Carissimo Peter Pan, che continui a svolazzarmi intorno, sappi che ti ho riconosciuto e prima o poi riuscirò ad acciuffarti e a fermare la tua corsa. Un leggero tremolio, un fastidio appena percepibile sulla pelle, mi avverte del tuo passaggio. Sei tu, piccolo bambino ostinato, che ti aggiri sulla superficie del mio corpo alla ricerca di un segno di invecchiamento, una ruga, un capello bianco, una rotondità più marcata, una macchia che ieri non c’era… E scatta l’allarme! Ormai conosco le tue mosse, posso addirittura mettere alla sbarra le tue astuzie, ma il richiamo delle sirene, mentre giro con te dopo la seconda stella a destra e punto dritto all’Isola che non c’è, talvolta è ancora così affascinante, da catapultarmi in un passato che si colora di giochi, amichetti, avventure, sole, merendine, gite e vacanze dai nonni, un tempo che… semplicemente non c’è. Non c’è più. E dovresti insegnarmelo tu il non senso del rimpianto, tu, bambino senza tempo, che un passato non ce l’hai e il futuro non lo vuoi. Mi dispiace dirti che non conoscerai mai la bellezza di crescere, le sfumature di cui la tua vita potrebbe tingersi e come le rughe sulla tua pelle potrebbero trasformarsi in righe sulle quali scrivere e narrare sazietà di anni e di vita. Senza nostalgia, ma con autorità e saggezza. Perciò, sappi, caro Peter Pan, che nemmeno quando mi segnalerai molto brutalmente che il mio corpo si va disfacendo, non potrai strapparmi la gioia intima di essere madre prima e nonna poi, la possibilità di essere finalmente sorgente, dopo essermi dissetata per anni alle fonti che generosamente mi hanno tenuta in vita. Anche Gesù è stato piccolo. E gli piaceva esserlo, come amava tutto dell’umanità. Gli evangelisti parlano pochissimo della sua infanzia, ma, curiosamente, descrivono in modo dettagliato un unico episodio, quello in cui si dice e si ripete con parole diverse che “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia”. E gli succede, questo fatto del crescere, dopo aver scelto di lasciare la carovana, parenti, cugini e amici, il luogo dove stanno tutti e come fanno tutti, per stare con il Padre suo per tre giorni. Facile? Non credo. Tre giorni sono tanti per un bambino dodicenne e un’eternità per i genitori, che, però, insieme, provano a capire e gli danno lo spazio necessario per diventare grande. Mi capiterà ancora di smarrirmi tra le stelle alla ricerca dell’Isola che non c’è, lo so, ma so anche che proverò ad allontanare il tuo ronzio, ogni volta che vorrai vendermi il mito dell’eterna giovinezza, perché la mia vita scivoli leggera verso il compimento, nel dono totale che gli anni le aggiungono in sapienza e grazia.