Carissimo Arlecchino
Carissimo Arlecchino,
che abiti in quella parte del mio occhio che vede i colori, ricordi quando ci siamo conosciuti? Io avevo circa un anno e indossavo un bellissimo costume da Pierrot. Immagino fosse Carnevale.
Esco di casa e trovo mia cugina, ma non era lei. Era un’esplosione di colori che non avevo mai visto prima. Il mio triste biancoenero, accentuato da quella lacrima che mi avevano disegnato sulla guancia, si buttò a capofitto nel tuo sorriso, infiammandosi di colori. Fu amore a prima vista. Un amore così non si dimentica, ma si può perdere con estrema facilità, perché non conosce le mezze misure, i chiaroscuri, le ombre. È luce pura e incandescente, da maneggiare con cura. E così ho cercato di fare nel corso degli anni, a partire da quella sera, quando, rannicchiata sotto le coperte, ho ascoltato la tua storia. È lì che ti ho spalancato le porte di casa – come non commuoversi per un bimbo triste, così povero da non potersi permettere neppure un costume per Carnevale? – e con te e per te ho iniziato a collezionare colori. Spesso a scapito della lunga fila di Pierrot, di ogni razza, lingua e misura, che, piangenti perché perennemente respinti, spintonano per aggiudicarsi il posto in prima fila su quella balconata con vista sul mondo che sono i miei occhi. Ho al mio attivo qualcosa come migliaia di pezzi di stoffa provenienti da ogni parte del mondo.
È facile raccoglierli: è sufficiente imbattersi in una situazione strana, nuova, diversa e, click, la imprimo sugli occhi e, ri-click, chiudo le palpebre per catturarla e catalogarla con calma, in seguito, con tutte le informazioni che riesco ad avere, per comprenderla meglio. Poi è un attimo cucirla con le altre e, ogni sera, accorgermi di quanto bello sia il nostro costume, più bello di ieri e dell’anno scorso. E domani, Pierrot permettendo, sarà sicuramente meglio di oggi. Dipenderà dal mio sguardo, dal tuo, dai nostri occhi che hanno tanto bisogno di tornare a vedere attraverso il velo delle lacrime o l’oscurità di qualsiasi notte, per non correre il rischio di accontentarci di una visione del mondo parziale e monocromatica, che non rende ragione a Chi l’ha creata. Potrebbe essere questo il motivo della presenza di tanti ciechi nelle Scritture e, soprattutto, della loro storia di guarigione. C’è Bartimeo che grida a squarciagola il suo bisogno di colori. Il cieco nato laverà i suoi occhi con le acque gentili di Siloe, per poter essere testimone di Luce. E c’è persino Sansone che, dopo una vita passata a vedere in biancoenero, reso cieco, vede finalmente Dio, che gli restituisce la sua verità. Questione solo di diottrie? O, soprattutto, di chi i colori te li regala? By Arlecchino.