C’era una volta...
Cosa resta della magnifica, partecipata e, per certi versi, unica e commovente Giornata del Ringraziamento? Di sicuro un cumulo di iniziative pensate e realizzate, forse per dare senso al ritrovarsi per esprimere gratitudine a Dio per i doni concessi
Cosa resta della magnifica, partecipata e, per certi versi, unica e commovente Giornata del Ringraziamento? Di sicuro un cumulo di iniziative pensate e realizzate, forse per dare senso al ritrovarsi per esprimere gratitudine a Dio per i doni concessi; molto probabilmente per consentire alla gente di sentirsi parte importante di una festa, che, ricordando il “come eravamo”, mette in dubbio il “come siamo”. Quando, nell’immediato Dopoguerra, la nascente Coldiretti di Paolo Bonomi (ma chi era, qualcuno lo ricorda?) propose alla Chiesa di unirsi alla gente dei campi per mettere nel calendario liturgico una domenica dedicata al Ringraziamento, qualcuno disse che i coltivatori diretti volevano emulare le mode americane. A Brescia un certo Carlo Bonometti, maestro e anche primo presidente della nascente associazione, spiegò ai suoi amici di campagna che “il ringraziamento non ha confini, tanto vero che sale dalla terra al cielo e dal cielo ricade sulla terra sotto forma di doni generosi e sempre equamente distribuiti”. Così, anche da noi, il rito del ritrovarsi per pregare e ringraziare il buon Dio divenne appuntamento irrinunciabile. Che tempi! Nella seconda domenica di novembre, quali fossero gli umori del tempo e la consistenza dell’annata agraria che a San Martino, immancabilmente, passava all’archivio, il rito del ringraziamento andava in scena.
Erano gli inizi degli anni cinquanta, amari e avari per tutti, addirittura duri e miseri per i coltivatori della terra costretti a lavorare senza sapere se e come il loro lavoro, stante le leggi agrarie in atto, poteva durare e diventare reddito in grado di far crescere le famiglie. Erano i tempi dell’esodo forzato scandito dal giorno di san Martino, il santo generoso che suo malgrado diventava spauracchio di tanta gente costretta a far fagotto per cercare chissà dove fortuna e serenità. Sembrava allora che tutto potesse cambiare. Invece, di esodi vefrso luighi in cui ci fossero terreni coltivabili, se ne dovettero contare ancora tanti, troppi. Anno dopo anno la campagna assottigliava le sue fila decretando la fine dei piccoli e l’avvento di nuove mentalità. L’agricoltura perdeva braccia e l’industria le raccoglieva mettendole in fila nelle proprie catene di montaggio. La seconda domenica di novembre, però, c’era da onorare l’impegno del “ringraziamento”. E fino a quando ebbe vita, il parroco del paese non mancò mai, insieme al “grazie” dovuto a Dio, di denunciare l’ingiustizia dell’esodo, il bisogno di giustizia per la gente dei campi e la necessità di preparare, perché di certo sarebbe arrivato, il tempo delle novità. Le novità arrivarono qualche anno dopo e restituirono al San Martino i connotati di festa autenticamente popolare. Gli anni e la tenacia di tanti (sindacalisti e politici illuminati), via via, avevano stabilito regole, rotto gli argini della mezzadria, imposto contratti di affitto finalmente slegati dalla logica che lasciava ai “signorotti” il diritto di sfrattare e cambiare compagni di viaggio.
Agricoltura e agricoltori, finalmente sollevati dalle ataviche paure dell’esodo, contribuirono non poco a risollevare l’economia generale. Gli anni sessanta, quelli del primo “boom” economico registrato nell’Italia del dopoguerra, passarono alla storia col nomignolo di “ruggenti”. Negli anni settanta qualcuno, deluso dalla città e dai ritmi dell’industria, fece ritorno al paese; per rivedere gli altri, invece, era sempre necessario aspettare il Giorno dei Santi, quando il Campo Santo si apriva al ricordo dei defunti. Gli anni ottanta, imprevedibilmente e misteriosamente, registrarono un’inversione di tendenza: più nati che morti, più immigrati e che emigrati con la linea statistica della popolazione pervasa da sussulti positivi. Il resto è storia recente, cronaca di normale quotidianità alla quale il passato regala, ogni tanto, scampoli di saggezza e, sempre, una giornata intera da dedicare a ringraziare. Chi e come tocca a ciascuno deciderlo.