Buoni propositi
C’era da aspettarselo. Dopo il record della spesa militare mondiale – che nel 2023 ha raggiunto i 2.443 miliardi di dollari – certificato lo scorso aprile dall’Istituto svedese di ricerche Sipri, anche il fatturato delle cento maggiori aziende militari ha segnato un record storico: 632 miliardi di dollari. La differenza è notevole ma va compresa. Mentre i dati della spesa militare fotografano tutto ciò che gli Stati spendono nel settore militare, cioè per il personale (le forze armate), l’acquisto di armamenti e l’esercizio (caserme, missioni, esercitazioni ecc.), quelli relativi al fatturato delle imprese militari individuano solo le vendite, nel proprio Paese e all’estero, delle aziende del comparto.
La guerra tra Russia e Ucraina, in Israele e a Gaza e le tensioni in tutto il Medio Oriente e nell’Asia stanno aumentando la domanda di nuovi e sofisticati armamenti in tutto il mondo, spiegano gli analisti del Sipri.
Oltre ai ricavi per le vendite, ci sono gli affari nei mercati finanziari, nelle borse mondiali. È soprattutto in quest’ambito che le grandi aziende incrementano i propri profitti. Un recente rapporto di Mediobanca evidenzia che, dal 2019 al 2023, il valore azionario delle principali multinazionali mondiali degli armamenti è raddoppiato rispetto all’indice globale e, nel primo trimestre del 2024, le industrie del settore militare sono al primo posto per rendimento azionario con una crescita tre volte superiore rispetto all’indice globale. In parole semplici, le guerre e le tensioni internazionali sono un grande affare per le aziende militari.
“Voglio evidenziare l’ipocrisia di parlare di pace e giocare alla guerra. In alcuni Paesi dove si parla molto di pace, gli investimenti che rendono di più sono nelle fabbriche di armi. Questa ipocrisia ci porta sempre a un fallimento. Il fallimento della fraternità, il fallimento della pace”, ha affermato con chiarezza Papa Francesco lo scorso 25 novembre.
Un’ipocrisia nella quale siamo, forse senza saperlo, coinvolti. Ma da cui possiamo sottrarci. Da tempo, l’associazione “Finanza Etica” ha promosso l’iniziativa “Non con i miei soldi!” che segnala i fondi che investono nel settore militare e la “Campagna di pressione alle banche armate” (promossa dalle riviste “Missione Oggi”, “Mosaico di pace” e “Nigrizia”) riporta l’elenco delle banche che sostengono il commercio di armamenti. Un buon proposito per il nuovo anno: controllare in quali fondi e in quali banche abbiamo messo i nostri risparmi. Tanti o pochi non importa: conta non essere complici dell’ipocrisia di chi parla di pace finanziando le guerre.