Blue Whale: una bufala?
Spesso la fatica più grande è trovare qualcuno che ascolti, non solo le parole, gli atteggiamenti e gli esibizionismi. Ma anche, e soprattutto, i silenzi
Il racconto degli adolescenti da parte del mondo dell’informazione è spesso costruito attorno alla parola “allarme”: dopo i filoni legati al bullismo o agli eccessi, eccoci di nuovo in pieno “allarme Blue Whale”. Abbiamo sentito un forte tam-tam rispetto a questo fantomatico gioco online, nel quale si verrebbe invitati, in modo incrementale, a superare prove che iniziano con forme di autolesionismo e si concludono con il suicidio: la notizia della scorsa settimana (o meglio, la non notizia) ci informava di una decina di segnalazioni nel territorio bresciano, tutte verificate con esito negativo. Dobbiamo davvero preoccuparci di questa Balenottera Azzurra? Credo di no, credo semplicemente dovremmo occuparci, con prudenza e un po’ di saggezza dei nostri adolescenti. Perché Blue Whale può esistere oppure no, ma i meccanismi di fondo che la rendono possibile sono tutt’altro che inconsistenti. Esistono i ragazzi, con lo smartphone in mano per troppe ore, con le chat infinite in cui un po’ ci si capisce e un po’ no, con i loro challenge (le sfide) proposte su You Tube, su Facebook o Snapchat: “prova a ballare su questa canzone e filmati”, “salta da una panchina all’altra e posta la foto”… Sono buoni o cattivi i challenge?
Sono sfide con le stesse dinamiche di quelle della nostra adolescenza ma con quella ambiguità tipica che risulta dal poterle proporre e affrontare senza guardarsi in volto. Esiste inoltre il rischio dell’autolesionismo, non banale né marginale in questa età: la difficoltà della transizione dalla fanciullezza all’età adulta, il bisogno di ricevere attenzioni e cure, la disperazione che appare nera per alcuni giorni e si dilegua in poche ore. Anche qui: è peggiore oggi rispetto a ieri? No, non lo è, eppure la possibilità di rendere pubblici gli stati d’animo più neri (attraverso i social) può essere occasione per sprofondare, oltre che per trovare una mano amica. Infine esiste la solitudine. L’adolescenza è un flusso informe di sentimenti, di relazioni, di emozioni. La mente fatica a dargli un ordine, il linguaggio fatica a trovare le parole giuste. Spesso la fatica più grande è trovare qualcuno che ascolti, non solo le parole, gli atteggiamenti e gli esibizionismi. Ma anche, e soprattutto, i silenzi. Forse, se smettessimo di parlare di emergenze, potremmo provare ad educarci reciprocamente – noi con i nostri adolescenti – per scoprire e vivere le dinamiche indispensabili delle buone relazioni. L’antidoto più concreto questi allarmi incontrollati.